Reader’s 19 maggio 2022 (rassegna web)

Ennio Remondino coglie l’aspetto minaccioso della nomina di noti e discussi personaggi dell’ ultra destra economica americana, di antica e provata militanza antisovietica prima e antirussa oggi.

Kateryna Yushchenko, ex First Lady ucraina, ex nazista. 53 anni portati bene nonostante una vita decisamente travagliata. Che fosse la moglie dell ‘attuale presidente Selensky è ovviamente una frottola grossolana. Remocontro prova comunque a ricostruire dalle “fonti aperte” una vita che somiglia a un romanzo.

Dipartimento di Stato. Assistente speciale del Segretario di Stato per i diritti umani e le questioni umanitarie. Laurea in Economia Internazionale dalla Edmund A. Walsh School of Foreign Service alla Georgetown University nel 1982, e un master della University of Chicago Graduate School of Business nell’86. Ha lavorato alla Casa Bianca durante l’amministrazione Reagan. Ha lavorato al Tesoro degli Stati Uniti durante l’amministrazione di George W Bush. Sempre posizioni chiave e sempre nettamente connotate politicamente.

La foto che mostra Kateryna Claire Chumachenko nel più classico dei saluti nazisti lascia poco spazio a dubbi. Kateryna partecipa, insieme con l’ex-capo del battaglione “Nachtigall” Theodore Oberländer, alla Conferenza mondiale della Anti-Communist League “Pace, libertà e sicurezza” (la foto in Michigan il 22 Aprile 2006).

Durante la campagna presidenziale del 2004, la coppia Yushchenko-Chumachenko è accusata di essere un’emanazione del governo degli Stati Uniti o della Central Intelligence Agency. Querele a raffica e il dubbio che rimane. Secondo una fonte francese la moglie di Viktor Juščenko era un agente doppio, iscritta a una setta religiosa e alla Cia.

La chiesa Nativa della Fede Nazionale Ucraina

C’è in ballo anche la chiesa Nativa della Fede Nazionale Ucraina. Una setta neo-nazi secondo cui prima della nascita della civiltà sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate, l’Oriyana, l’antica Ucraina, era stata la culla di tutta la razza bianca. Lasciando perdere gli azzardi del Walhalla, grazie ai nuovi amici Cia Katie Chumatchenko inizia la splendida carriera di cui già abbiamo detto.

Dopo il lavoro la Chumatchenko va in fretta lì, e ciò attrae l’attenzione dell’Fbi, ma l’indagine non pregiudica il destino di Katia. Per i suoi protettori aveva ben altri compiti chiave da svolgere. La svolta con l’incontro del figlio di un collaboratore nazionalista, il capo della Banca Nazionale di Ucraina Viktor Yushchenko. Chumachenko lo incontra, lo sposa, e lo fa correre per la presidenza.

“Due falchi per Kiev di salda fede antirussa”, l’ex presidente della Georgia, Mikhail Saakashvili, e il senatore statunitense John McCain, noti e discussi personaggi della destra economica più antirussa, chiamati ora nel ‘gruppo consultivo internazionale’ del governo di Kiev.

Il procuratore capo di Tiblisi ha avviato un procedimento d’accusa contro di lui inserendo il suo nome nella lista dei ricercati, ma Kiev ha sempre rifiutato di consegnare il fuggitivo nonostante gli accordi di estradizione con la Georgia.

Saakashvili è noto per le sue forti posizioni anti-russe e da tempo gode dell’appoggio degli Stati Uniti. Nell’agosto 2008 la Georgia lanciò un’ offensiva contro l’Ossezia del Sud e le forze russe presenti. Mosca reagì. Saakashvili all’epoca gridò all’ aggressione russa. Due anni dopo una missione della UE stabilì che responsabile dell’attacco era stata Tbilisi.

Ancora più nota e più pittoresca la figura di John Mc Cain, il senatore che a Washington guida da anni la crociata anti-russa. L’ex candidato alla presidenza Usa pochi giorni fa ha annunciato di non poter accettare l’incarico di consulente, senza però rinnegare le sue simpatie per il nuovo corso ucraino.

All’inizio delle proteste di piazza Maidan contro l’ex presidente Viktor Yanukovich, McCain era apparso a Kiev per sostenere la rivolta culminata nel colpo di Stato. Da quel momento McCain è diventato il motore delle attività di ‘lobbying’ per la fornitura di armamento letale alle forze ucraine.

Mc Cain è un forte sostenitore delle attività della NATO ai confini russi ed ha insistito sul fatto che gli alleati baltici dovrebbero contribuire a ‘rendere sicuri i confini orientali’. Nemico dichiarato di Putin è adeguatamente ricambiato. ‘Ho guardato negli occhi di Putin e ho visto soltanto tre lettere: K-G-B’. ‘McCain ha combattuto in Vietnam e sulle mani porta ancora il sangue di cittadini pacifici, per lui deve essere impossibile vivere senza queste scene disgustose. Fu catturato dai ‘vietcong’ e tenuto per cinque anni in una fossa. In condizioni simili chiunque sarebbe diventato pazzo‘.

Gli uomini e la guerra.

“Se io rispondo ad un insulto con uno schiaffo o un pugno, – scrive Giovanni Lamagna prendendo un po’ alla larga il tema della guerra in corso – molto probabilmente l’altro risponderà con pugni e schiaffi e si arriverà così alla rissa. A quel punto si innescherà, molto probabilmente, un’escalation di violenze, che potrà essere interrotta solo dall’intervento di terzi neutrali, che faranno da pacieri, o dalla sconfitta e resa unilaterale di uno dei due litiganti.

La civiltà umana è nata quando la catena della violenza che poteva innescarsi – e che normalmente si innescava quando la vita sociale degli ominidi era praticamente simile a quella delle altre bestie – si è interrotta, per scelta consapevole di chi l’aveva subita o per l’intervento di un terzo estraneo alla contesa”.

Questo principio – che si è affermato ed è diventato abbastanza egemone, oramai già da parecchio tempo, tra i singoli cittadini di uno Stato, all’interno delle società civilizzate – “non si è ancora affermato però (se non in maniera molto limitata e a fasi alterne) a livello dei rapporti tra i popoli, gli Stati e le nazioni.

Per cui viene ancora considerato legittimo l’uso della violenza quando un popolo o una nazione sono attaccati da un altro popolo o da un’altra nazione. La guerra è – generalmente e tutto sommato – ancora considerata un modo legittimo per dirimere, risolvere, le controversie tra le nazioni.

Ciò vuol dire che ne abbiamo “ancora di strada da percorrere sulla via del progresso civile ed umano….prima che si avveri l’auspicio di alcuni uomini illustri (quali, per fare solo alcuni nomi, Albert Einstein o Bertrand Russell o Gino Strada);

L’auspicio che la guerra diventi un tabù

come lo sono già diventati, in epoche passate, l’incesto e la schiavitù! Ed io – a dire il vero – non sono manco convinto che, come Umanità, siamo ancora in tempo a percorrere questa lunga strada che ci resta da fare, prima che uno scontro di infinite proporzioni ci (auto)distrugga anzitempo…E potrebbe bastare anche una piccola scintilla per innescare un incendio immane e senza ritorno: questa scintilla potrebbe essere ad esempio il conflitto attualmente in corso in Ucraina.

Complicità ed equivoci interessi fra soggetti politici della destra europea

Fabio Baldassarri che ha seguito ieri la puntata di Report, si sofferma invece “su complicità ed equivoci interessi fra soggetti politici della destra europea tra cui anche il partito di Marion Le Pen e quello di Matteo Salvini. Oggi é in corso una guerra di confine in cui si stanno impantanando Russia e Ucraina (quest’ultima sostenuta da Usa e Nato in nome dell’euroatlantismo), segno di un confronto fra due potenze che operano da anni nel mercato sulla stessa base capitalistica….Persino in Cina parlare di comunismo sarebbe un eufemismo perchè più propriamente bisognerebbe parlare di “capitalismo monopolistico di stato”.

se a più di vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, non sia necessario ripensare il mondo in ottica multipolare anziché bipolare e se, nell’Europa pensata da Altiero Spinelli, non si debba fare nostra la scelta socialista e democratica del manifesto di Ventotene.

Una scelta da ancorare, nel tempo in cui viviamo, alle esperienze migliori dei paesi che hanno intrapreso la strada del welfare state, cioè dello stato sociale. Forse è l’ultimo appuntamento con la storia.

Considerazioni queste ultime molto lontane da quelle che gli Stati Uniti propongono allEuropa: “Dopo quella con la Russia, guerra commerciale alla Cina”. Perché, scrive Piero Orteca su Remocontro, “Biden parla di Kiev, ma pensa a Pechino. Oltre ciò che appare…siamo in piena Terza guerra economica mondiale: mercantile, doganale, tariffaria, valutaria”.

Dichiarazioni allarmanti, secondo l’analista di Remocontro, quelle di Janet Yellen, Ministra del Tesoro Usa ed ex Presidente della Federal Reserve:

“Guerra in Ucraina, analisi e comunicazione: dal metodo al merito. Questo potrebbe, benissimo, essere il titolo di un convegno sui media, o il “topic” elaborato da un think-tank che si occupa di geopolitica. Specie se scriviamo che Biden parla di Kiev, ma pensa a Pechino».

Perché “ci è parso di capire che, ad abbozzare un dibattito meno spiccio sulla guerra in Ucraina, si corra il rischio di finire bruciati come le streghe di Salem. Guai a uscire un alluce dal seminato, perché i “duri e puri” della verità “a geometria variabile” sono pronti a incidere, immediatamente, il tuo nome sull’ostrakòn del “politically correct”. È proprio quest’ultima genia che, nel corso della storia, ha cronicizzato le guerre, rendendo le paci impossibili.

Se l’obiettivo è evitare la guerra nucleare

Capiamoci. Qui non è in discussione chi ha provocato la guerra in Ucraina. Né qualcuno può mettere in dubbio la feroce invasione di Putin o il sacrosanto diritto di difendersi degli ucraini. Però, l’obbiettivo finale deve essere quello di evitare qualsiasi tipo di guerra nucleare. Va stabilito “quanto” e fino a che punto occorra continuare ad armare l’Ucraina, per evitare reazioni “asimmetriche” da parte di Mosca che, incalzata sul terreno convenzionale, potrebbe avere due reazioni: accettare di trattare o cominciare a utilizzare armi atomiche a corto raggio. Scatenando un’escalation imprevedibile, quanto devastante.

La libera critica Usa guarda alla Cina

Recentemente, il famoso storico e politologo di Harvard, Niall Ferguson, ha pubblicato un articolo su “Bloomberg”, che ha avuto un impatto notevole sull’opinione pubblica americana. Nel pezzo si sosteneva la tesi che Biden non ha alcun interesse a fermare la guerra in Ucraina, che vuole far dissanguare la Russia e che intende utilizzare quel massacrante conflitto come monito per la Cina.

“È la Cina – conclude lo storico di Harvard – il vero nemico degli Stati Uniti”. Come mai? Sistema istituzionale, Taiwan, modello sociale, cultura, modo di vivere… Metteteci pure dentro tutto quello che volete. Anche se, forse, l’unica risposta giusta, a primo colpo, è “bilancia commerciale”.

Gli Usa sono in profondo rosso da una vita e, se non fanno qualcosa, i cinesi si compreranno anche la Statua della libertà. Quindi, è Terza guerra mondiale: mercantile, doganale, tariffaria, valutaria. Dove sono permessi anche i colpi bassi, sotto la cintura. Come quello che ha sferrato ieri Janet Yellen, Ministra del Tesoro Usa ed ex Presidente della Federal Reserve, una che di conti se ne intende. Specie quelli degli altri.

Bene, la Yellen ha “esortato” l’Occidente a bacchettare anche la Cina per quello che combina in campo economico. “Le democrazie sono troppo vulnerabili – riporta il “South China Morning Post” – ai Paesi che usano le loro posizioni di mercato come leva geopolitica”.

La Yellen ha chiesto all’Europa di coordinarsi contro la Cina, dopo essersi unita contro la Russia.


Massimo Nava sul Corriere della Sera dopo che l’esecrazione all’aggressione di Putin l’ha espressa e ribadita, contando su un minimo di serenità ritrovata tra opinionisti, si pone un interrogativo che avremmo certo preferito se lo ponesse prima qualche leader politico anche di casa. Noi non ce ne siamo accorti.

Il mondo corre ma qualcuno fa finta di dormire

Gli equilibri del mondo stanno cambiando a velocità della luce. Come sonnambuli seguiamo gli eventi senza comprendere se si tratti di effetto domino (Transnistria, Ossezia del Sud, Georgia) o di una nuova ricomposizione politica e strategica (Finlandia, Svezia). Che ne sarà dell’Ucraina? Ha ricevuto armi, solidarietà e anche la promessa solenne che il suo posto sarà in Europa. Ma quando? La risposta, nemmeno tanto diplomatica, l’ha data recentemente Emmanuel Macron, presidente di turno del Consiglio Europeo, quando ha proposta l’avvio di una comunità politica allargata, quindi aperta anche all’Ucraina, salvo precisare che per un «ingresso» organico ci vorranno anni, «probabilmente decenni». Una doccia fredda sulle speranze e i sacrifici degli ucraini che, nonostante la tragica attualità, ha ricordato vecchie riserve francesi nei confronti dei Paesi dell’Europa dell’Est.

Incontinente Zelensky tv

Abile come sempre nell’amplificazione mediatica, Zelensky ha regalato un’altra efficace metafora, parlando di fidanzati che si promettono le nozze senza mai far vedere l’anello. A Berlino, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba è stato esplicito: «Nessuna alternativa all’integrazione europea sarebbe accettabile». In sostanza ha bocciato l’idea di Macron, considerata ingiusta e discriminatoria. Kiev ha presentato domanda di adesione a marzo e spera di ottenere subito lo status di Paese candidato all’Ue. L’impressione è che la posizione francese sia tuttavia condivisa dalla maggior parte degli Stati membri. Macron ha spiegato che la «comunità politica» consentirebbe da subito l’accesso al mercato unico o la partecipazione ad alcune politiche europee, ad esempio nei trasporti e nell’energia.

Europa a quante velocità?

Anche l’ipotesi di un’Europa a più velocità che superi il problema del voto all’unanimità non ha incontrato molto successo. L’ex premier italiano e segretario del Pd Enrico Letta ha proposto che i Paesi aspiranti partecipino al Consiglio europeo per dimostrare di essere «entrati nella famiglia europea», ma in pratica sullo strapuntino. Nessuno si nasconde che prima di essere ammessi nel salotto buono occorre raggiungere standard economici e giuridici e di stato di diritto. Non è ancora il caso dell’Ucraina, peraltro devastata dalla guerra e tutta da ricostruire. A spese di chi?


Putin come il femminicida

Perché la prepotenza di Putin con l’Ucraina mi sembra così nota? Alla fine Massimo Marnetto realizza: è la stessa del femminicida. Il meccanismo psicologico di Putin ha il medesimo movente di chi non sopporta l’abbandono e pretende di trattenere con la violenza chi vuole andar via. Putin, quando ha visto che l’Ucraina voleva più libertà e andare verso l’Europa, ha deciso di massacrarla con la guerra. I pacifisti della resa sono come quelli che consigliano alle donne di accettare la violenza del maschio, per evitare danni maggiori.

Io sono contrario a questa ideologia della passività e penso invece che l ‘invio di armi all’Ucraina ubbidisca al diritto di scelta da riconoscere anche a chi ha meno forza. L’incitazione alla ragionevole ”sottomissione di sopravvivenza” del più debole – in una coppia come nelle relazioni tra stati – è un concetto intriso di cultura maschilista e del conformismo della prepotenza. Che sceglie di lasciar sfogare il violento su una sola vittima, piuttosto che turbare la tranquillità degli altri.

  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)


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