In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà, Caritas Italiana ha presentato, lunedì 17 ottobre il suo 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”, che prende in esame le statistiche ufficiali sulla povertà e i dati di fonte Caritas, provenienti da quasi 2.800 Centri di Ascolto Caritas su tutto il territorio nazionale. Dal rapporto ho tratto per la rassegna i dati a mio giudizio più significativi
L’anello debole: il rapporto su povertà ed esclusione sociale di Caritas Italia
Si è rotto l’ascensore sociale e la disuguaglianza rispecchia il livello di istruzione
[17 Ottobre 2022]

Le statistiche ufficiali
Secondo le statistiche ufficiali, «Nel 2021 la povertà assoluta conferma i suoi massimi storici toccati nel 2020, anno di inizio della pandemia da Covid-19. Le famiglie in povertà assoluta risultano 1 milione 960mila, pari a 5.571.000 persone (il 9,4% della popolazione residente). L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (6,7% da 7,9%).
In riferimento all’età
In riferimento all’età, i livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali all’età: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni bambini e i ragazzi poveri), all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni, all’11,1% per la classe 35-64 anni e al 5,3% per gli over 65 (valore sotto il la media nazionale).
…e al numero dei familiari
Tra il 2020 e il 2021 l’incidenza della povertà è cresciuta più della media per le famiglie con almeno 4 persone, le famiglie con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni, i bambini di 4-6 anni, le 2 famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro. È cresciuta meno della media per le famiglie piccole, con anziani, composte da soli italiani».
I dati di fonte Caritas
I dati di fonte Caritas forniscono un prezioso spaccato sui volti di povertà del nostro tempo: «Nel 2021, nei soli centri di ascolto e servizi informatizzati, le persone incontrate e supportate sono state 227.566 persone. Rispetto al 2020 si è registrato un incremento del 7,7% del numero di beneficiari supportati (legato soprattutto agli stranieri).
Più della metà gli stranieri
Chiedono aiuto sia uomini (50,9%) che donne (49,1%). Cresce da un anno all’altro l’incidenza delle persone straniere che si attesta al 55%, con punte che arrivano al 65,7% e al 61,2% nelle regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est; di contro, nel Sud e nelle Isole, prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana che corrispondono rispettivamente al 68,3% e al 74,2% dell’utenza.
L’età media dei beneficiari
L’età media dei beneficiari si attesta a 45,8 anni. Complessivamente le persone senza dimora incontrate sono state 23.976, pari al 16,2% dell’utenza: si tratta per lo più di uomini (72,8%), stranieri (66,3%), celibi (45,1%), con un’età media di 43,7 anni e incontrati soprattutto nelle strutture del Nord (questa macroregione ha intercettato quasi la metà degli homeless d’Italia)».
Povertà, istruzione e lavoro
La Caritas fa notare che «Si rafforza nel 2021 la consueta correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione. Cresce infatti il peso di chi possiede al massimo la licenza media, che passa dal 57,1% al 69,7%; tra loro si contano anche persone analfabete, senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare. Nelle regioni insulari e del sud, dove lo ricordiamo c’è una maggiore incidenza di italiani, il dato arriva rispettivamente all’84,7% e al 75%. Nel 2021 cresce l’incidenza dei disoccupati o inoccupati che passa dal 41% al 47,1%; parallelamente si contrae la quota degli occupati che scende dal 25% al 23,6%.
Il blocco dell’ascensore sociale
Il rapporto affronta poi il problema della povertà intergenerazionale ed evidenzia il blocco dell’acensore sociale: «In Italia il raggio della mobilità ascendente risulta assai corto e sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano invece scarse possibilità di accedere ai livelli superiori (da qui le espressioni “dei pavimenti e dei soffitti appiccicosi”, “sticky grounds e sticky ceilings”)».
Povertà ereditaria
«Complessivamente nelle storie di deprivazione intercettate, i casi di povertà intergenerazionale pesano per il 59,0%; nelle Isole e nel Centro il dato risulta ancora più marcato, pari rispettivamente al 65,9% e al 64,4%; il nord-Est e il Sud risultano le macroaree con la più alta incidenza di poveri di prima generazione. Il rischio di rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica, per chi proviene da un contesto familiare di fragilità è di fatto molto alto».
Povertà e livello d’istruzione
Le persone che vivono oggi in uno stato di povertà, nate tra il 1966 e il 1986, provengono per lo più da nuclei familiari con bassi titoli di studio, in alcuni casi senza qualifiche o addirittura analfabeti (oltre il 60% dei genitori possiede al massimo una licenza elementare). E, sono proprio i figli delle persone meno istruite a interrompere gli studi prematuramente, fermandosi alla terza media e in taluni casi alla sola licenza elementare; al contrario tra i figli di persone con un titolo di laurea, oltre la metà arriva ad un diploma di scuola media superiore o alla stessa laurea.
Mobilità discendente
Il raffronto tra le due generazioni mostra che circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e che il 42,8% ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio). Più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica non trova sempre una corrispondenza in termini di impiego (data l’alta incidenza di disoccupati) o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo, vista l’alta incidenza dei lavoratori poveri».
La dimensione psicologica
“Emerge un quadro in cui ai fattori fondamentali che determinano la trasmissione della povertà (educativa, lavorativa ed economica), si aggiungono la dimensione psicologica (bassa autostima, sfiducia, frustrazione, traumi, mancanza di speranza e progettualità, stile di vita “familiare”), conseguenza di un vissuto lungamente esposto alla povertà e una più ampia dimensione socio-culturale (territorialità, contesto familiare, individualismo, sfiducia nelle istituzioni e nella comunità, povertà culturale), che coinvolge tutta la società ma si amplifica nelle fasce di popolazione in situazione di disagio”.
Il reddito di cittadinanza
Per la Caritas, «La misura di contrasto alla povertà esistente nel nostro Paese, il Reddito di Cittadinanza, è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%). Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale. Ma al momento una serie di vincoli amministrativi e di gestione ostacolano tale aspetto.
Papa Francesco, la primavera araba e la guerra in Ucraina
Riccardo Cristiano su “Globalist”

L’anticipazione del libro sulla pace di papa Francesco pubblicata in queste ore da La Stampa contiene una frase molto importante e che richiede una lettura attenta, senza finzioni o giri di parole.
Il papa infatti afferma che la guerra è una soluzione inefficace e poi per dimostrarlo afferma: forse in Libia, Yemen, Siria stanno meglio di prima? Sembra un giudizio sulla primavera araba, che anche secondo il papa si sarebbe trasformata in inverno arabo. Ma a guardar bene non sembra affatto così.
Tutto infatti cominciò in Tunisia, dove certo le cose non vanno affatto bene, anzi, l’attuale è ormai chiaramente un colpo di Stato. Poi si arrivò in Egitto, dove solo al Sisi e i suoi sodali possono stringere gli occhi a tal punto da fingere che le cose non vadano peggio di prima, con un colpo di Stato ormai consolidato e una militarizzazione fallimentare della politica e della società. Ma di questo Francesco non parla e in effetti nessuno fece una guerra, né in Tunisia né in Egitto, ma conflitti sociali, che purtroppo hanno visto soluzioni che hanno respinto le istanze democratiche e libertarie della piazza grazie al peso degli apparati militari.
Dove la guerra c’è stata
Il papa cita invece la Libia, dove la guerra c’è stata. Autorizzata dall’Onu, è vero, ma gestita con i piedi da chi non sapeva come aiutare i libici, ma sperava di aiutare sé stesso sparando a casaccio dei missili senza un piano altro che vincere le presidenziali francesi, senza un progetto, una visione di nuova Libia, né i soldi per farla davvero. Non è andata a finire peggio di prima? Certo che sì… E lo Yemen? Lo Yemen ha visto una protesta analoga contro un despota pronto a servire chiunque pur di restare un altro mezzo secolo al potere, Ali Saleh. Anche qui non c’è stata una guerra, ma un conflitto sociale? No. La guerra c’è stata eccome. Due odiosi imperialismi, quello saudita e quello iraniano, hanno cercato di impossessarsi delle due parti in conflitto, di confessionalizzare il confronto, rendendolo strage.
Non è andata a finire peggio di prima? Certo che sì!
E la Siria? In Siria la guerra non fu scongiurata proprio da Francesco, che aiutò a fermare l’intervento di Obama? Certo che sì. Ma non riuscì a fermare l’intervento di Putin e l’oscena scusa che fu invitato dal governo siriano vale solo per chi non vuole capire: anche nello Yemen i sauditi furono invitati dal cosiddetto “governo legittimo”.
Dunque la guerra più infame di tutte non c’è: o la Libia per via della Nato, o lo Yemen per via degli aspiranti imperi locali o la Siria per via di Putin, che non ha mai combattuto in quell’occasione un singolo miliziano dell’Isis, ma solo civili siriani, sono state soltanto guerre feroci e tutte inefficaci. Almeno dal punto di vista della popolazione. Certo, Assad, potrà dire che la sua guerra è stata efficace, ha distrutto il suo popolo ma lui si è arricchito. Altrettanto potranno i signori della guerra dello Yemen e della Libia. Tutti nomi che non voglio neanche imparare.
Anche l’Ucraina
Ma capìta così, e mi sembra una comprensione legittima e fedele alle sue parole, mi sembra che la frase del papa ci aiuti a pensare qualcosa anche sulla guerra dell’oggi, l’Ucraina. C’è un aggressore e un aggredito, questo è chiaro e il papa lo ha chiarito più volte. Ma questo non basta a fare gli interessi di un popolo: occorre una visione che tutelando il diritto alla difesa sappia portarci verso la sua valorizzazione in un contesto di pace.
Liberarsi di un leader o dell’altro è un anelito legittimo, ma gli interessi di ogni ucraino sono nella diffusione della loro legittimità a esistere come popolo. Quella che che abbiamo negato a libici, yemeniti e siriani, pensando soltanto a quale satrapo ci piaccia di più.
Cesare

di Massimo Marnetto
L’ascesa di Fontana alla Presidenza della Camera è preoccupante non per il livello modesto della persona, ma perché il bigottismo si è avvicinato troppo al potere. La laicità delle istituzioni è un importante indicatore di civiltà. E per contro, dove religione e potere si fondono, inizia l’oppressione (dall’inquisizione, alla persecuzione delle ”svelate” iraniane).
Intendiamoci, Fontana è un bigotto come ce ne sono tanti, ma occorre tenere gli occhi ben aperti: la religione può essere una formidabile pedagogia dell’obbedienza agli idioti, rassegnazione alle ingiustizie, esaltazione della sofferenza, condanna della reazione. Dare a Cesare quel che è di Cesare va bene, se il capo politico esercita un potere giusto. Altrimenti Cesare va combattuto e – se è violento – ucciso. Senza offrire guance, né sensi di colpa. Il paradiso dei viventi è la giustizia. L’altro è gioco d’azzardo spirituale per credenti. Come me.