La lezione
di Raniero La Valle
Naturalmente si può ammettere che il missile ucraino che ha colpito la Polonia, Paese la cui protezione è garantita dalla totalità degli armamenti convenzionali e nucleari di tutti i Paesi della NATO, non sia stato lanciato da Kiev per provocare una indignazione universale contro la perfida Russia (come peraltro è avvenuto), né per suscitare una ritorsione militare e politica contro di essa, né per bloccare i timidi tentativi americani di forzare Zelensky alla trattativa per un “cessate il fuoco”, ma che, come ha detto Erdogan a Bali, sia stato lanciato “per un errore tecnico”. Dunque nessuna volontà perversa, tutti possono sbagliare, tutti sono innocenti.
L’opzione di una guerra mondiale contro le intenzioni di tutti…
Resta il fatto che per molte ore l’ipotesi o addirittura l’opzione di una guerra mondiale nucleare è stata sui tavoli delle Cancellerie, dei Consigli di guerra, dei Comitati di difesa, dei Quartieri generali, dell’intera schiera dei Capi del mondo riuniti per tutt’altri motivi a Bali. Oltre che essere avanzata nelle tifoserie dei nostri giornali e TV. Se questo fosse accaduto, sarebbe avvenuto contro l’intenzione, le previsioni e la volontà di tutti, perché tutti dicono, e con grandissima probabilità ne sono convinti, che una tale guerra non si deve fare.
…tranne uno, Zelensky
Tutti tranne uno, Zelensky, che addirittura voleva sciogliere l’ONU, perché di ostacolo a una guerra mondiale fatta ad uso dell’Ucraina. In ogni caso egli ci prova in altri modi: non per errore pone dieci condizioni impossibili come pregiudiziali a un negoziato con la Russia. Né per errore si presenta a Kherson come “il condottiero” (Corriere della Sera) che si fa tributare il trionfo per la ritirata dei Russi dalla città, e con i soldati celebra le “vittorie sul campo grazie alle armi dell’Occidente e pagate col sangue ucraino”. Con la mano sul petto e gli occhi alla bandiera, salendo, come diceva Joseph De Maistre, “su un mucchio di cadaveri da cui si vede più lontano”: 100.000 Ucraini, 100.000 Russi che sono i morti in questa guerra fin qui, e centinaia di migliaia di famiglie devastate. Mentre altrettante e altrettanti ce ne saranno nei prossimi mesi, se questi saranno come quelli che abbiamo gestito finora.
Una situazione parossistica a cui porre al più presto rimedio
“Una inutile strage” secondo il lessico di un Papa come Benedetto XV, “fuori della ragione”, secondo il lessico di un Papa come Giovanni XXIII, “una sconfitta di fronte alle forze del male”, nel lessico di Papa Francesco, “una vittoria di David contro Golia” e “l’odio per l’invasore che non si placherà” nel lessico del Corriere della Sera.
Ce n’è abbastanza per dire che a una situazione parossistica come questa, capace di portarci per un errore alla fine del mondo, occorrerebbe porre al più presto rimedio.
Delittuosa partecipazione
Tutto ciò però oltre che farci misurare la portata etica della nostra delittuosa partecipazione, armi e bagagli, a tale assassinio di massa, si presta a una lettura geopolitica degli eventi come quella che si trova nelle riviste bene informate, e ci fornisce una lezione.
La lettura è che questa guerra europea, come tutte le guerre europee a cominciare dalla prima guerra mondiale e fino alla guerra della NATO per il Kosovo, in realtà ha come posta in gioco il potere mondiale: le guerre che si combattono in Europa non sono mai solamente delle guerre europee. Questa è in effetti solo un episodio, dislocato nella “martoriata Ucraina” (Francesco), della lunga partita che si è aperta con l’evento del 9 novembre 1989 di cui nel recente anniversario si sono impadroniti la nostra presidente del Consiglio e l’ignaro (di politica e storia) ministro della ex Pubblica Istruzione: la rimozione del muro di Berlino.
Un episodio della partita aperta con la caduta del muro
La partita che allora si aprì non fu, come avevamo sperato, quella per instaurare un ordine non più nucleare e diarchico ma pluralistico e pacifico, ma quella per istituire un sovrano universale di un mondo ormai globalizzato e obbediente al modello unificato di “Libertà Democrazia e Libera Impresa”. Gli Stati Uniti avanzarono la pretesa di essere loro questo sovrano e l’hanno teorizzato nella loro “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, “sicurezza” che venne ufficialmente identificata col governo del mondo.
L’investimento americano a questo fine, (“nessuno deve avere una forza non solo superiore, ma nemmeno pari a quella degli Stati Uniti”), è di quasi 1000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti. Noi come Europa, divenuta area “euro-atlantica”, siamo chiamati a partecipare a questa sovranità, traendone vantaggio, al prezzo della perduta identità e del rinnovato rischio nucleare.
La lezione che ora si può trarre dalla guerra in corso, che tiene in scacco la Russia e dovrebbe intimidire la Cina, è che questo processo verso il dominio mondiale di una sola grande Potenza non si può fermare con la guerra. Esso pertanto deve essere fermato in un altro modo: con la politica, l’economia, le culture, il diritto, le fedi.
Un caffè e un cornetto
di Massimo Marnetto
Cliente alla cassa del bar:” Un caffè e un cornetto”. Il cassiere:” Sono 18 euro e 50”. Il cliente protesta per l’enormità della cifra, ma il cassiere è irremovibile:”Lei ha ragione, ma molti non pagano e io devo far quadrare i conti…’‘. La discussione diventa litigio, fino a quando il falso cassiere mostra al cliente la candid-camera e spiega:”Siamo della Finanza. La colazione gliela paghiamo noi. Volevamo far capire come funziona l’evasione fiscale dei disonesti. Che scarica tutto il suo peso su chi le tasse le paga”.
Un videoclip così (*) – mandato come spot di Pubblicità Progresso – farebbe capire molto meglio il nesso tra l’evasione fiscale dei furbi e il sovraccarico di tasse che provoca a chi le paga. Con un claim finale: ‘‘Chi evade non è un furbo, ma un delinquente che ci lascia i suoi conti da saldare – Chiedi lo scontrino o la fattura e smetti di pagare il pizzo fiscale agli evasori”.
E in chiusura, dal collega bolognese Claudio Visani un post (divertente) sulla disperazione che prende quando nel bel mezzo di una fra le tante operazioni che siamo impegnati quotidianamente a svolgere sul computer o allo smartphone giunge improvvisa la perentoria richiesta di una password.
Dove l’ho messa?
Claudio Visani su Facebook
DOVE L’HO MESSA?
“La tua password sta per scadere, se non l’aggiorni non potrai più accedere. La nuova deve avere da otto a dieci caratteri, un numero, una maiuscola, due caratteri speciali”.
Vai a cercare la password. Dove l’ho messa? Ah, ecco, meno male. Mamma mia, sempre più complicata! Vai nel sito per cambiarla. Per entrare ti chiede anche un codice. Che devi creare col telefonino. Metti il codice ma ti dice che hai sbagliato a digitare la password. Riprovi, la cambi, la fai ancora più difficile, la devi ripetere con tutti quei caratteri e ghirigori, non te la visualizza, per due volte non la digiti uguale, intanto il codice è scaduto, ne devi creare un altro, finalmente arrivi in fondo, ma ora devi segnartela da qualche parte, non online che poi ci sono gli hacker. Ormai ne avrò una cinquantina. Aiuto, dove le avrò messe tutte? E niente, prima o poi andremo tutti in tilt. Ma prima mi aspetto che un giorno o l’altro tutto questo ambaradan tecnologico esploderà. Torneremo a comunicare e a vivere di persona personalmente. Però nel frattempo non saremo più capaci di fare manualmente niente.
“Anch’io l’altra sera esco dal cinema Dov’è la macchina?
Ah già l’ho messa lì. Chiavi, BRUMMM’, parte subito, perfetta
Arrivo, via Londonio non c’è più la casa. Dove l’ho messa?
Me lo dice sempre la mia mamma che sono disordinato
Ha ragione la mamma. A proposito la mamma dove l’ho messa?
Bisogna che la ritrovi la mia mamma e anche la mia casa
E se non loro qualcosa di solido, qualcosa per sentirti bene
Per sentirti giusto, sicuro in questa nostra bella Terra, in questa nostra bella Italia
Italia dove l’ho messa?”
(Giorgio Gaber, Dove l’ho messa)
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington