Reader’s – 17/18 settembre 2022. Rassegna web

Alternanza sì ma nel rispetto della democrazia (e per favore non sparate sulla Costituzione)

Il dibattito elettorale diviene ogni giorno più acceso in vista del voto del 25 settembre, è rimasta però una sorta di autolimitazione che vieta di invocare l’antifascismo come dimensione di senso che dovrebbe orientare le scelte di voto del popolo italiano.

Domenico Gallo su “Articolo 21

Democrazia dell’alternanza e spirito repubblicano

Oggi si dà per acquisita la democrazia dell’alternanza, per mettere in evidenza che tutte le forze politiche sono legittimate a governare e che l’alternanza fra le diverse proposte e forze politiche è elemento fisiologico della democrazia. Non c’è dubbio che sia così. Tuttavia la democrazia dell’alternanza può funzionare e svolgere un ruolo positivo solo se le forze politiche che assumono la responsabilità del governo mantengono fermo il rispetto per le istituzioni democratiche e non cercano di demolirle. Occorre cioè che le forze politiche contrapposte nella competizione per il Governo, condividano il medesimo spirito repubblicano, cosa che in Italia non si verifica.

Costituzione vissuta con insofferenza

Il paradosso dell’Italia è di avere una Costituzione scritta, partorita nel fuoco della Storia, che da oltre trent’anni è vissuta con insofferenza da molti settori dell’arco politico. Fino al punto che si è sviluppata quella che Giuseppe Dossetti ebbe a definire una “mitologia sostitutiva”. Vale a dire si imputano alla Costituzione quei problemi che la politica non riesce a risolvere, in questo modo si crea un mito che nasconde l’incapacità delle forze politiche di governo o di opposizione di indicare una prospettiva di sviluppo per la società italiana nel suo complesso e si scaricano i fallimenti della politica sulle istituzioni.

Il dovere di consegnare intatta la casa comune

Le Istituzioni nelle quali si incarna l’Ordinamento della Repubblica (Parlamento, Governo, Presidenza della Repubblica, magistratura indipendente, Corte Costituzionale, ordinamento delle Regioni e degli Enti locali) rappresentano la casa comune del popolo italiano. Le forze politiche incaricate della responsabilità del Governo del paese, sono gli inquilini di questa casa comune, hanno il dovere di amministrarla, possono abbellirla, ma alla fine la devono consegnare intatta a chi verrà dopo di loro.

Questo non significa che non si possono fare delle riforme costituzionali e realizzare dei ritocchi alle mura dell’edificio comune. Tuttavia le modifiche della casa comune dovrebbero essere estremamente rispettose delle esigenze di tutti gli abitanti della casa, e quando imposte da una maggioranza politica, dovrebbe sempre essere consentito al popolo italiano di scegliere se approvarle o meno.

Il proposito di sfasciare l’edificio istituzionale

Chi invoca la democrazia dell’alternanza, e se ne vuole avvalere, dovrebbe garantire che non demolirà la casa comune. Invece noi vediamo che nei programmi dei partiti politici gioca ancora un ruolo il tiro a bersaglio contro le Istituzioni democratiche. Non è venuta meno la spinta a cambiare i connotati della democrazia italiana. Anche in questa campagna elettorale vi sono forze politiche importanti (nello specifico il blocco di destra) che manifestano il proposito di sfasciare l’edificio istituzionale che ci ha consegnato la Costituzione per sostituirlo con un altro ispirato ad una differente concezione, che si potrebbe definire di “democrazia illiberale”, di cui in Europa vediamo degli esempi nel modello ungherese ed in quello polacco.

Presidenzialismo e Autonomia differenziata

Tre sono le principali direttive di attacco, l’introduzione del “presidenzialismo, la “riforma della giustizia” e l’attuazione dell’Autonomia differenziata. Quando nel programma della destra si parla di introdurre il “Presidenzialismo” evidentemente si fa riferimento al modello del c.d. semipresidenzialismo vigente in Francia a cui si ispirava la riforma costituzionale proposta da Fratelli d’Italia. Introdurre un Presidente della Repubblica elettivo che diventa anche dominus del Governo, modifica profondamente in senso autoritario la forma di Governo perché elimina la più importante delle garanzie politiche che tengono in equilibrio il sistema dei pesi e contrappesi su cui si regge la democrazia politica.

La garanzia di un organo esterno al governo

In Italia il ruolo del Presidente non è solo notarile, basti pensare al potere di emanare (o rifiutare) i decreti legge. Con un decreto legge si possono cancellare delle libertà costituzionali con effetto immediato, salvo l’intervento successivo ed eventuale della Corte costituzionale. La sorveglianza di un organo esterno al Governo e da questo indipendente è indispensabile per impedire abusi. Si tratta di un freno d’emergenza che acquista grande valore nelle situazioni di crisi.

La discrezionalità dell’azione penale

La seconda direttiva di attacco al nostro modello istituzionale di democrazia è quella che attiene alle varie proposte di “riforma della giustizia”. Qui in realtà il programma della destra, più che illustrare le proprie proposte, le nasconde. L’interpretazione autentica di questo programma è quella che ci fornisce il candidato Ministro della Giustizia in pectore, l’ex magistrato Carlo Nordio, nel corso di varie interviste. Essa prevede la separazione delle carriere, la discrezionalità dell`azione penale, la riformulazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e non ultima la nomina governativa dei giudici e quella elettiva dei pubblici ministeri.

Una serie di “repubblichette”

Queste proposte comportano un sovvertimento totale delle norme della Costituzione che garantiscono la divisione dei poteri, assicurando l’indipendenza del controllo di legalità esercitato dalla magistratura nei confronti del potere politico ed economico. Infine l’attuazione dell’Autonomia differenziata secondo le proposte avanzate dalle Regioni leghiste, spezzerebbe l’unità della Repubblica e, creando una serie di repubblichette, aprirebbe una breccia nel principio supremo di eguaglianza di tutti i cittadini.

Quando delle forze politiche ci propongono modifiche di questa portata, in sostanza ci propongono di fare la pelle alla Costituzione e di demolire quelle Istituzioni che la Costituzione ha concepito per garantire le generazioni future dal ritorno di un passato autoritario che all’epoca tutti ripudiavano ed oggi alcuni vorrebbero far ritornare sotto mutate spoglie.


Politica interna lorda

di Massimo Marnetto

Siccità e alluvioni sono i gemelli di uno stesso padre: il surriscaldamento da CO2. La maggiore temperatura del suolo prosciuga i fiumi; quella dei mari ”rifornisce” di enormi quantità d’acqua i temporali che poi diventano ”bombe”. Prevenire questi eventi estremi è costoso.

Si dovrebbero costruire invasi dove deviare gli eccessi di portata invernali per trasformarli in scorte estive; non far edificare le aree di esondazione naturale; svolgere una manutenzione regolare per tenere efficienti corsi e argini dei fiumi.

Ma investire senza emergenza (prevenzione) rompe la filiera disgrazia-ricostruzione-finanziamenti-consenso. La voce più importante dell’altro Pil: politica interna lorda.


La prossima mossa della Russia in Ucraina letta da un analista americano

Ennio Remondino su Remocontro

«Prima di festeggiare i recenti successi, Kiev e Washington devono calcolare bene cosa fare», avverte George Friedman, che di cose geostrategiche se ne intende. «Putin deve scegliere se attaccare con una forza schiacciante oppure perdere la guerra». Ma per il fondatore di ‘Stratfor’ e di ‘Geopolitical Futures’, non esiste dubbio: «Sceglierà la prima opzione»

Da Limes, carta di Laura Canali

‘Guerra surprise’ da generali russi tromboni

«La situazione sul campo non è come la Russia se l’aspettava. Mosca prevedeva che la guerra sarebbe terminata alla svelta perché considerava la propria forza militare manifestamente superiore a ciò che gli ucraini avrebbero messo in campo. Pochi paesi iniziano una guerra presumendo di perdere. Le truppe russe sono andate a combattere con la stessa teoria in mente: colpiamo duro e a Natale siamo a casa. Ma la storia è piena di racconti di grandi eserciti e guerrieri che combattono battaglie interminabili e disperate. E la storia della guerra è piena di esempi in cui la sicurezza di sé stessi si scontra con la realtà».

L’offensiva russa fallita

L’offensiva russa si è rivelata un fallimento, ma per Friedman non tanto grazie alle Forze armate di Kiev, «per quanto coraggiose possano essere state», quanto a causa di una strategia di Mosca ‘poco sviluppata’. Insomma, imperdonabili errori di comando. Poi, dalla conquista di Kiev, alla semplice ‘liberazione del Donbass’. Avanzate più modeste, convinte che col tempo avrebbero spezzato le linee nemiche e occupato, se non tutto, almeno una parte sostanziale del territorio. Secondo errore geostrategico e politico assieme.

Armi e intelligence

Dove i servizi segreti russi hanno fallito. «Sapevano che gli Stati Uniti avevano la capacità di schierare mezzi bellici di prim’ordine, ma credevano che ciò avrebbe richiesto tempo. Quindi per loro la guerra doveva necessariamente essere breve. E quando i russi non hanno ottenuto una vittoria rapida, gli ucraini erano stati già equipaggiati con una straordinaria gamma di armi all’avanguardia, consegnate in quantità e qualità crescenti, rimpiazzando le perdite».

Cronache militari

«I sistemi antiaerei hanno costretto i russi alla cautela, i sistemi anticarro li hanno spinti a concentrarsi sugli spostamenti della fanteria e l’artiglieria americana ha permesso agli ucraini di vincere gli scontri a fuoco. Il presidente russo Vladimir Putin in diverse occasioni ha affermato che questa guerra non è contro l’Ucraina, ma contro gli Stati Uniti. In un certo senso aveva ragione, sebbene per lui fosse solo propaganda». Friedman analizza e Limes rilancia.

La guerra non è finita e l’Ucraina non ha vinto

E lo studioso di cose militari avverte: «Prima di festeggiare, Kiev e Washington devono calcolare le loro prossime mosse, partendo dal presupposto che il passo successivo per Mosca è il collasso o la capitolazione, entrambe circostanze improbabili». Non è la guerra patriottica del 1941, lotta per la vita o la morte, ma una sconfitta disonorevole non sarebbe accettabile neppure per una popolazione russa non particolarmente mobilitata.

Un gelido inverno dalla parte di Mosca

«Una cosa su cui la Russia potrebbe contare è un inverno molto freddo in Europa, che potrebbe condurre al cedimento del fronte europeo. Ma in questa fase della guerra non conta molto. Il sostegno del Vecchio Continente è incoraggiante, ma ha un peso militare trascurabile. Gli Stati Uniti e l’Ucraina non smetteranno di combattere per tenere l’Unione Europea dentro il conflitto».

L’aiuto delle Cina alla Russia

La Russia potrebbe tentare di chiedere aiuto alla Cina ma neppure nel vertice di Samarcanda Pechino ha accennato ad alcun movimento militare. «Potrebbe sostenere solo un piccolo contingente in Ucraina che, del resto, dovrebbe rifornire a causa delle ristrettezze russe. Inoltre, è ben consapevole della guerra economica che gli Stati Uniti stanno conducendo contro la Russia e, date le proprie condizioni finanziarie, non ha alcuna intenzione di combatterla».

Terza opzione, negoziare la pace

«Ma i russi non possono tornare al confine esibendo soltanto bare. D’altro canto, gli ucraini non cederanno parte del loro territorio, perché guarderebbero a qualsiasi soluzione come provvisoria per la Russia. Una trattativa sarebbe ora una resa per entrambi i fronti».

Quarta opzione, un vincitore e uno sconfitto, ma chi?

Solo scenario realistico, nella freddezza dell’analisi. «Una parte deve sconfiggere l’altra». La parti in campo. «Il vantaggio russo è la manodopera. Svariati rapporti provenienti da molteplici fonti, comprese quelle statunitensi, parlano di una grande quantità di soldati in addestramento nell’Estremo Oriente russo». «La Russia non può battere un esercito dotato di armi americane con il numero di unità che ha schierato finora. Deve scegliere se attaccare con una forza schiacciante oppure perdere la guerra. Sceglierà la prima opzione».

L’America in guerra senza dirlo

La guerra con armi e soldi americani contro la Russia delegata all’Ucraina. Ma agli Stati Uniti non interessa colpire il loro territorio direttamente, né con armi convenzionali né nucleari perché la Russia può restituire il colpo. Nessuna delle due potenze vuole una guerra russo-americana diretta.

La Russia ‘costretta’ ad attaccare

«Finché Putin resta al potere, Mosca intraprenderà qualsiasi sforzo per vincere, perché il presidente russo non può permettersi niente di meno della vittoria. Non vedo altre tattiche possibili se non il reclutamento di ulteriore personale militare, che suppongo avverrà molto presto oppure dopo l’inverno. Non mi sembra che le attuali forze dispiegate dalla Russia possano fare altro se non resistere in determinate zone. Servono rinforzi. Putin potrebbe avere altre opzioni, ma sono difficili da immaginare», la sintesi finale dell’analisi di George Friedman.

Scenario politico scoraggiante

Scenario lucido ma terrorizzante dove non sono leggibili né i tempi né le probabilità di fine del disastro, o almeno, di una sua conclusione decente che non preluda ad altre guerre ravvicinate. Nell’esaltazione di una pochezza politica che ha deciso e reso possibile questo disastro. 

Putin certamente, ma anche quella parte di classe politica ucraina e statunitense che la crisi in chiave anti russa ha coltivato da dieci anni. E la Nato che cresce di numero ma non di credibilità e di futuro. Questo non lo dice Friedman, ma solo Remocontro.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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