I phashi, i narcisi e la maggioranza democratica
di Antonio Cipriani su Remocontro
Dell’avvento dei vecchi e dei nuovi phashi, dei narcisi della politichetta e di tutti noi che non ci meritiamo questa decadenza democratica.
La destra ha vinto. E ovviamente elegge i suoi migliori rappresentanti alle cariche che contano. Qualcuno mi dirà: ma uno è fascista, l’altro omofobo e razzista. E quindi? È giusto che chi vince, in democrazia, possa scegliere chi meglio di altri possa rappresentare il fermento culturale, per così dire, il mal di pancia, il risentimento e il desiderio di rivincita sulla storia che animano la fiamma della destra in ogni sua declinazione. Vestiranno eleganti, saranno sorridenti e gentili, avranno anche loro i consiglieri di immagine, ma sotto sotto restano phashi dell’epoca moderna. E vengono votati per questo livore urlato, per la passione che ci mettono nel far sentire i cittadini perfettamente rappresentati nella loro decadenza, nel loro asimmetrico modo di vedere e cogliere i diritti civili, quelli sociali.
I phashi lo sanno bene. Spingeranno forte il piede sull’acceleratore sui temi dove potranno farlo: la repressione dei diritti, il decoro a favore di chi possiede contro chi non ha niente, l’ordine e disciplina a fronte delle ingiustizie che mai potranno essere messe in discussione. E copriranno bene le frenate politiche sui temi internazionali in cui non avranno possibilità di dire e fare alcunché.
Il phascismo contemporaneo è mimetico. Ma non perderà di vista le basi, per così dire. Forti con i deboli e deboli con i potenti.
Non mi aspetto altro. Sono arrivati al governo alla fine di un periodo storico assurdo, dopo la distruzione culturale del Paese da parte di un berlusconismo tragico, ilare e sciocco, capace di attrarre nella sua scia anche buona parte di quel mondo intellettuale, politico e giornalistico che sembrava dovesse e potesse agire con più compostezza e rigore, dedicando sforzi per rendere compiuta la nostra democrazia e non per accaparrarsi spazi, visibilità e denari.
Hanno percorso l’ultima fase senza ostacoli. Mentre si dissolveva lentamente un mondo di significati e di valori. Mentre il narcisismo della politica abbandonava la realtà, e i valori democratici, antifascisti si scioglievano in una visione piatta della stori. Abbarbicandosi intorno a battaglie di immagine, lontano dalle strade e dalle piazze, lontano dal mondo del lavoro e della disoccupazione, abdicando totalmente a una visione della società senza passione, senza cuore. Senza utopie, senza poter mai sperare in una vita migliore, ma considerando come migliore l’oscenità tecnocratica e mediatica della resa incondizionata e culturale. Profonda e dolorosa.
Hanno vinto e fanno quello che devono fare per essere quello che sono sempre stati. Dall’altra parte si percepisce il balletto del niente, dei narcisi sconfitti, del tentativo di mantenere a galla la barchetta dei soliti noti. Mentre la famiglia democratica, la maggioranza del Paese che non sogna la camicia nera, che non affonderebbe mai un gommone con bambini a bordo, che non lavora per Leonardo, ma vive semplicemente e fa volontariato, aiuta la vicina e pensa che non si possa far vincere la violenza e la stupidità e ritiene che la scuola e le conoscenze siano importanti, così come l’uguaglianza di diritti e di doveri, dovrà riprendere in mano il filo perduto della cultura e quindi della politica. Non solo della politica come partecipazione a incontri preconfezionati per sostenere questo o quello deciso dall’alto. Ma la politica che discenda dall’impegno, dalla cultura del territorio, dalla bellezza e dalla giustizia da preservare dall’attacco feroce della devastazione di ogni legame storico, sociale e umano.
La meglio gioventù deve riprendere a pensare e ad agire perché il futuro sia meno bieco. Perché non continui a prevalere la camicia nera culturale, ma neanche quella miseria tecnocratica e senz’anima che si propone come alternativa. Occorre riprendere il filo interrotto. Nei paesi, nei quartieri, dove la vita scorre ed è dura. Non basando tutto sull’obbedienza al più potente che paga o all’apparenza che si fa cultura mediatica nei non-luoghi.
La famiglia democratica deve ricominciare a sognare, ad avere a cuore il futuro di tutti. Ad avere cuore e passioni, non tecnicismi e bocconi amari da ingoiare perché ce lo chiede questa istituzione o quell’altra. Invertire la rotta non è impossibile. È faticoso e difficile, non impossibile.
La Russa
di Massimo Marnetto
Condanno le scritte contro La Russa. Pur essendo il neo Presidente del Senato un nostalgico conclamato del fascismo, credo che la democrazia sia prima di tutto il ripudio dell’aggressione come strumento della politica. A nessuno è consentito minacciare un avversario politico, tanto più se ricopre la seconda carica più alta dello Stato.
La mia condanna di principio non si traduce però in solidarietà personale al Presidente del Senato, fino a quando non rinuncerà espressamente alla sua devozione a Mussolini, che il potere lo ha conquistato ed esercitato con violenza e omicidi. Se vuole acquisire l’autorevolezza che richiede la sua carica, La Russa deve elaborare in profondità il discorso della Senatrice Segre. A cui non ha senso donare fiori bianchi, se si conservano pensieri neri.
Fontana e la vecchia Lega

di Gilberto Squizzato (Facebook)
Perché Fontana ha ringraziato così calorosamente Bossi nel suo discorso di investitura a presidente della Camera, aperto da una premessa decisiva sulla multiforme diversità delle regioni italiane?
Perché è stato Bossi a imporlo a Salvini che invece voleva il supersalviniano Molinari.
Un segnale del conflitto interno alla Lega, dopo la debacle che l’ha portata dal 34% delle elezioni europee al 7,7 delle politiche e ha riportato in campo contro Salvini i “vecchi” Maroni, Bossi, Reguzzoni. E il “cerchio magico” che con il Comitato Nord vuole riportare in Lombardia il baricentro del partito. Quello che Salvini ha tentato di espandere in tutta Italia, perdendo peró la sfida lanciata 4 anni fa a Meloni e 5stelle di Conte.
Ecco perché Fontana ha subito insistito sull’urgenza dell’autonomia regionale che sta così a cuore al Comitato Nord bossiano (e a Zaia, umiliato dal trionfo anche in Veneto di FdI). Salvini ha obbedito a Bossi e candidato Fontana perchè teme di essere disarcionato.
Su tutto questo (come giustamente ricorda nel suo icastico intervento Gianni Fazzino) incombe l’ombra oscura dei 49 milioni, che ai vertici della Lega quasi tutti sanno dove e a beneficio di chi sono finiti: cosicché tutti sono sottoposti a reciproco ricatto, costretti a stare insieme. (Anche se per occultare il segreto indicibile e mantenere al partito l’agibilità dei nuovi contanti quei soldi che il tribunale di Genova intima di restituire – in 99 anni! – vengono addebitati alla vecchia Lega dando libertà di movimento alla nuova Lega per Salvini premier, che non sarà mai premier).
In questo fosco quadro, vedrete che l’autonomia pretesa dalla Lega neo bossiana sarà fra le prime occasioni di forte conflitto con la centralista Meloni. Uno scontro difficile da comporre fra FdI e Lega che il Berlusconi quasi fuori gioco dopo l’umiliazione di ieri al Senato non potrà facilmente comporre.
A meno che i due vecchi Silvio e Umberto non vogliano prima o poi mandare a gambe all’aria la forzosa innaturale accoppiata Meloni/Salvini.
Cina, Xi Jinping, il Partito comunista e la gente che non applaude e non vedremo
Michele Marsonet su Remocontro

Crescono i segnali d’inquietudine nella Cina di Xi, ci avverte Michele Marsonet che di Cina è antico appassionato, ma senza tifoserie distorcenti.
«In un Paese come il nostro, dove manifestazioni di protesta di ogni tipo sono in pratica quotidiane, può destare poca impressione quanto è avvenuto ieri a Pechino. Eppure si tratta di un segnale significativo, anche perché domenica 16 si aprirà il XX congresso del Partito comunista cinese».
Sfida non come piazza Tienanmen, ma sempre dissenso
Alcuni cittadini hanno infatti osato sfidare apertamente le autorità e l’apparato repressivo del regime. Sul ponte Sitong nel distretto di Haidian, nel nord-ovest della capitale, sono comparsi parecchi striscioni anti-governativi con contenuti assai espliciti. I manifestanti hanno esposto slogan quali “No ai test Covid, sì al cibo”, “No ai lockdown, sì alla libertà”, “No alle bugie, sì alla dignità”, “No alla rivoluzione culturale, sì alle riforme”, “No al grande leader, sì al voto”, “Non essere schiavo, sii un cittadino”.
Ancora più esplicito un altro striscione che invitava tutti a scioperare sul lavoro e a scuola, e a rimuovere il dittatore e “traditore nazionale” Xi Jinping. I manifestanti hanno inoltre provocato delle colonne di fumo per attirare l’attenzione dei passanti.
Striscioni rimossi, il malcontento no
Operazione riuscita anche se, com’era lecito attendersi, la polizia è intervenuta in tempi rapidissimi. Gli striscioni sono stati rimossi in un battibaleno. Cancellate subito anche le immagini relative alla manifestazione che erano state postate sui social network, immagini delle quali sono rimaste solo deboli tracce.
Sfide così aperte al potere, che nella Repubblica Popolare è incarnato dal Partito comunista, sono del tutto inusuali. Per trovare qualcosa di simile bisogna ritornare con la memoria alla sfortunata Hong Kong, ormai tranquilla e “normalizzata”, anche se pare che il fuoco continui a covare sotto le ceneri.
La Grande Muraglia culturale
Proteste come quella di Pechino non devono essere sottovalutate, soprattutto tenendo conto della pervasività dei sistemi di sorveglianza. Qualcuno ha parlato di una “Grande muraglia culturale” eretta intorno al Paese, basata anche – ma non solo – sul controllo completo di Internet, e sull’impossibilità di accedere ai social network stranieri.
Politica del ‘Covid zero’
Resta il problema di comprendere l’insistenza dell’attuale leader e del suo gruppo dirigente sulla politica del “Covid zero”, praticata mediante continui lockdown totali, pur essendo evidente che tale strategia è risultata fallimentare. Lo è, però, soltanto dal punto di vista sanitario. Sul piano puramente politico è invece uno strumento – assai efficace – mediante il quale il gruppo dirigente mantiene il controllo sociale della popolazione.
Inquietudini e Presidente a vita
Manifestazioni come queste non sono certo in grado di scalfire il potere di Xi, che con ogni probabilità otterrà dall’imminente Congresso il terzo mandato diventando, de facto, presidente a vita. Tuttavia l’inquietudine diffusa nella Repubblica Popolare è reale, anche a causa del rallentamento dell’economia di cui i continui lockdown sono una delle cause principali.
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