Reader’s – 15 settembre 2023 rassegna web

Cessiamo il fuoco

di Raniero La Valle

Guerra “totale”

«Oggi stiamo vivendo una guerra mondiale, fermiamoci per favore» ha detto papa Francesco all’udienza generale del 7 settembre 2022. È «una guerra di speciale gravità, sia per la violazione del diritto internazionale, sia per i rischi di escalation nucleare, sia per le pesanti conseguenze economiche e sociali. È una terza guerra mondiale ‘a pezzi’ », ha detto il giorno dopo parlando ai Nunzi riuniti in Vaticano. E il 10 settembre, rivolgendosi all’Accademia Pontificia delle scienze, ha finito per concludere: «Ho detto che era una terza guerra mondiale ‘a pezzi’; oggi forse possiamo dire ‘totale’ e i rischi per le persone e per il pianeta sono sempre maggiori». Poi ha preso l’aereo, ed è andato in Kazakhstan a predicare la pace.

ma se ne parla come se non si rischiasse la fine di tutto

In quattro giorni è detto tutto: è una guerra di speciale gravità, è una guerra mondiale, è la terza in poco più di un secolo, è una guerra totale, e il rischio più grande è che finisca nell’atomica. A ciò si può aggiungere che nessuno sembra che se ne curi, nessuno che avendone la responsabilità vi ponga rimedio, e se ne parla come se non si rischiasse la fine di tutto, ma come di un corso ordinario delle cose*.

la controffensiva ucraina “decisa con gli Stati Uniti”

Intanto, secondo Michele Santoro che lo ha affermato alla TV di Floris, siamo giunti al momento più pericoloso di tutta la guerra. Infatti la cosiddetta controffensiva ucraina “decisa con gli Stati Uniti” (cioè guidata da loro), come titola apertamente “la Repubblica”, potrebbe cambiare la natura della guerra, cosa che, come ha detto Medvedev, l’ex presidente della Russia, potrebbe diventare “il prologo alla Terza guerra mondiale”. Ipotesi avvalorata dalla dichiarazione di Zelensky secondo cui l’Ucraina sarebbe disposta a trattare solo dopo la vittoria, e che “è una buona scelta per i russi scappare”.

Condotte irresponsabili

Di fronte a condotte così irresponsabili occorre ricordare che una guerra in cui si scontrino Russia e Stati Uniti è già una guerra mondiale, e che lo stereotipo secondo cui una guerra si può concludere solo con la vittoria è ormai, per dirla con Giovanni XXIII, del tutto “fuori della ragione”.
Il problema per noi è “che fare?” per intercettare questo precipizio verso la catastrofe.

Che fare?

Molte cose si potrebbero mettere in campo:

  • la scelta elettorale per forze politiche contrarie alla guerra e al continuo invio di armi per alimentarla;
  • la partecipazione l’8 ottobre all’iniziativa presso il Sacro Convento di Assisi dei partecipanti alla Marcia Perugia Assisi;
  • riunioni coordinate in diverse città italiane per un coinvolgimento dell’opinione pubblica plagiata a favore della guerra dal sistema mediatico;
  • e si potrebbe anche tentare una risposta specifica alla natura mondiale della guerra.

Ciò potrebbe farsi adottando come parola d’ordine “cessiamo il fuoco” (alla prima persona plurale, perché fuoco lo stiamo facendo tutti e può avvampare tutti), ponendo la domanda: “dov’è la vittoria?” (non sulle macerie, come dice il Papa), e promuovendo forme di diplomazia popolare non violenta.

Una possibilità per evidenziare la natura mondiale del conflitto sarebbe quella di una o diverse delegazioni formate ad esempio da firmatari dell’ «Appello per un Protocollo sul ripudio della guerra», che si rechino presso ciascuna delle ambasciate presenti a Roma (sono oltre 200) per discutere l’uscita dalla guerra.

  • Analoghe iniziative si potrebbero prendere nelle diverse città presso i consolati e le sedi delle organizzazioni internazionali.
  • Si potrebbe organizzare una carovana di pullman con molti partecipanti che si rechi a Strasburgo al Parlamento europeo per sollecitare un coinvolgimento dei rappresentanti europei (piuttosto che della nomenclatura) nella responsabilità della guerra e della pace in Europa, con l’invito a Russia, Ucraina e Turchia che oggi non siedono al Parlamento, di prendervi posto come Osservatori permanenti.

Queste ed altre cose possono essere organizzate, ma lo possono a partire da iniziative che siano promosse dalla “base”, da persone della stessa città. Noi faremo la nostra parte, nei limiti delle nostre possibilità.

*Come non essere d’accordo su questa triste constatazione con l’amico Raniero e con “Costituente Terra”, associazione a cui anch’io sono iscritto dalla fondazione? Valide anche le iniziative da lui suggerite. Faremo allora la nostra parte (spes contra spem, come ci insegnava La Pira). Ma si da il caso, purtroppo, che tocchi ancora ascoltare anche in televisione (ad esempio da un’ospite ieri a 8 e mezzo sulla Sette) assurdità come: ” questa è una guerra: o si sta da una parte o dall’altra”. E a Francesco riesce difficile convincere perfino il Patriarca di Mosca Kirill, il quale considera il conflitto come “una specie di necessaria Crociata del Bene (la Russia) contro il Male (l’Ucraina di Kiev – culla della fede cristiana dal 988 – purtroppo oggi “contaminata” dall’Occidente) che, secondo Mosca, ha perso ogni valore etico accettando i Gay Pride” (Confronti, settembre 2022).


Sberla

di Massimo Marnetto

”E tu per chi voti?” A poco più di una settimana dal voto, si intensificano le discussioni tra amici. I 5 Stelle? Incoscienti: hanno fatto cadere il Governo mentre eravamo nei casini ucraini. Il PD? E’ un Margheritone non più di sinistra e rinunciando ad allearsi con i 5 Stelle ha asfaltato la strada alla Meloni. Calenda e Renzi? Il primo è ambidestro, il secondo è scomunicato dagli elettori di sinistra dopo il Jobs Act. 

E allora? Allora vedo una divisione tra voto utile e astensionismo dilettevole. Io sceglierò il primo, mettendo una X sul simbolo di Sinistra e Verdi presente nella coalizione che sostiene il candidato uninominale del PD. Così lo rinforzo per contrastare quello della destra, ma senza votare il PD nel proporzionale (come avverrebbe barrando il nome del candidato). Un modo per fare la mia parte contro la Meloni a Palazzo Chigi, ma anche per dare una sberla al PD, in attesa che Landini ne diventi segretario.


Il rischio democratico e le lacrime di coccodrillo

L’allarme di Letta sul rischio democratico in caso di schiacciante vittoria della destra è fondato, ma…quando ha deciso di rompere l’alleanza con Conte, Letta sapeva benissimo a quale rischio esponeva la democrazia nel nostro Paese.

di Domenico Gallo

«Voglio lanciare l’allarme per la democrazia». Enrico Letta con un video destinato ai 600 candidati dem, spiega lo «scenario da incubo» che si potrebbe verificare se «col 43% dei voti le destre prendessero il 70% dei seggi». Questo può accadere, dice, a causa degli «effetti perversi» della legge elettorale, il Rosatellum voluto dal PD, da Forza Italia e dalla Lega, ed imposto al Parlamento con la fiducia, prima dal Governo Renzi (2015) e poi dal Governo Gentiloni (2017).  

C’è un solo voto per fermare la destra?

Letta denuncia il grave rischio democratico che correrebbe la Repubblica in quanto la destra, con una maggioranza superiore ai due terzi potrebbe stravolgere la Costituzione e annullare le garanzie del pluralismo previste per la nomina dei giudici della Corte costituzionale e dei componenti del CSM. Quindi Letta si gioca la carta del voto utile. Basta poco per evitare questo disastro, sostiene Letta: «Un +4 dato a Conte e Calenda e tolto a noi renderebbe reale il rischio». Viceversa, «un +4% a noi ci consentirebbe di tenere la destra sotto il 55% e di rendere la partita contendibile». Morale: «C’è solo un voto per fermare la destra, quello dato al Pd e alla nostra coalizione». 

A rischio la Costituzione se la destra ha i due terzi

L’allarme lanciato da Letta è assolutamente reale. Una maggioranza forte di questa coalizione trainata dalla destra fascio-leghista metterebbe seriamente a rischio il modello di democrazia introdotto dalla Costituzione fondata sulla Resistenza e sfigurerebbe in modo irrimediabile il volto della Repubblica, facendoci sbarcare nel territorio della “democrazia illiberale” di tipo ungherese o polacco. Il problema riguarda la forma di Governo (il Presidenzialismo), il pluralismo istituzionale (abolizione della separazione dei poteri, sottoponendo la magistratura al potere politico) e la stessa forma di Stato, con la disgregazione della Repubblica in tante repubblichette attraverso l’Autonomia differenziata. 

Un appello per neutralizzare gli effetti perversi del rosatellum

Il discorso di Letta non fa una grinza in ordine al rischio democratico, però le conclusioni a cui giunge devono farci riflettere. Il rischio democratico non è nato oggi e gli effetti perversi di questa legge elettorale sono stati segnalati per tempo ai dirigenti del PD e allo stesso Letta. Non aver modificato questa legge elettorale avrebbe comportato la necessità, una volta sciolte le Camere, di costruire un accordo tecnico fra le forze democratiche per neutralizzare gli effetti perversi del rosatellum. Sul Manifesto del 3 agosto è stato pubblicato un appello in tal senso in cui si chiedeva di dare vita ad una coalizione d’emergenza senza preclusioni per nessuno fra tutte le forze politiche che hanno a cuore i valori della Costituzione.

La decisione di rompere l’alleanza con Conte

Il leader del PD ha risposto picche, anzi, si è sbarazzato dell’unica alleanza (con il Movimento 5Stelle) che avrebbe potuto contrastare efficacemente l’avanzata della destra. Quando ha deciso di rompere l’alleanza con Conte, Letta sapeva benissimo a quale rischio esponeva la democrazia nel nostro Paese. Se Letta ha deciso di far prevalere “l’affidabilità” della sua forza politica agli occhi della NATO, a scapito della possibilità di uscire vittorioso dalla prova delle urne, imputi a sé stesso il disastro a cui andiamo incontro, e non cerchi di ottenere lo scalpo di altri partiti ricattando gli elettori democratici col mantra del voto utile.

Come Veltroni nelle elezioni politiche del 2008

A ben vedere Letta sta ripetendo la stessa operazione fallimentare tentata da Veltroni . Veltroni, appena eletto Segretario del nuovo partito, dovendo confrontarsi con il centrodestra sulla base di una legge elettorale (il porcellum) che premiava la Coalizione che riusciva ad ottenere un solo voto in più dell’avversario, pensò bene di sbarazzarsi degli altri partiti che si erano presentati in coalizione con Prodi e poi, nella campagna elettorale, agitò il tema del voto utile per far confluire sul PD i voti dei partiti che aveva escluso dalla coalizione. L’operazione riuscì a metà perché anche se il PD ottenne il 33%, avendo distolto a suo favore il 55% dei voti che nella tornata precedente erano andati ai partiti coalizzati nel c.d. Arcobaleno, la coalizione di centro destra ottenne la maggioranza assoluta con un distacco di 100 seggi alla Camera. I partiti della coalizione Arcobaleno furono espulsi dal Parlamento ed un milione di voti andarono dispersi.  

Il ricatto del voto utile è velleitario

Anche se l’attitudine del PD ad eliminare i nemici a sinistra è rimasta la stessa, il contesto politico e istituzionale è cambiato profondamente. Il ricatto del voto utile è velleitario perché non è assolutamente possibile recuperare i circa 20 punti di svantaggio fra la Coalizione a guida PD e  quella a guida FdI. L’unico voto utile è quello che consentirà di portare in Parlamento quegli esponenti politici che hanno veramente a cuore  i valori della Costituzione e che si batteranno per la pace, per la democrazia e per il mantenimento dell’unità della Repubblica.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)

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