Reader’s – 15 marzo 2023

Riarmo forsennato per ammazzarci prima e meglio?

Da Remocontro

Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha chiesto per il 2024, 842 miliardi di dollari. La Francia si appresta a rilocalizzare sul proprio territorio una ventina di produzioni industriali militari. Confermata la vendita Anglo-americana di sottomarini nucleari all’Australia. Ma la magia di metà secolo saranno i super sottomarini ancora allo studio: costo stimato nei prossimi tre decenni tra i 167- e 229 miliardi di euro

2024 Usa a mano armata, 842 miliardi di dollari

Il Pentagono intende focalizzarsi in particolare sulla produzione di missili e munizioni, messa sotto stress dalla guerra d’Ucraina. Sono infatti ben 30,6 miliardi di dollari i fondi stanziati per tale categoria, ovvero quasi il 12% in più di quanto stanziato nel 2022. Secondo i funzionari, il provvedimento è volto a contrastare l’aggressività di Cina, Russia e Iran. Soprattutto, serve a preparare l’America a una potenziale “guerra vera”. Un terzo della richiesta di finanziamento per le munizioni è destinato ai vettori a lungo raggio, compresi missili ipersonici e armi subsoniche.

Sempre più armi e sempre meno soldati

Nel frattempo, l’esercito Usa continua a ridursi. A testimoniarlo è la sua più recente richiesta di bilancio, che prevede il finanziamento di 452 mila militari in servizio attivo, 325 mila appartenenti alla Guardia nazionale e 174 mila riservisti. Si tratta di un calo di 21 mila soldati attivi rispetto alla richiesta iniziale del 2022 di 473 mila effettivi.

Francia, riarmo ‘fai da te’

La Francia si appresta a riportare a casa una ventina di produzioni industriali militari. A partire dalla produzione di polvere da sparo per i proiettili di artiglieria calibro 155 mm già annunciata a febbraio 2023. L’Esagono tornerà inoltre a produrre in patria scafi di imbarcazioni (prodotti finora in diversi paesi dell’Europa dell’Est), munizioni di grosso calibro (prodotti in Svezia, Italia o Germania) e componenti per motori di elicotteri (sviluppati finora negli Usa e assemblati nel Regno Unito). Presto questi passaggi saranno realizzati integralmente in Francia, in parte nello stabilimento Aubert & Duval presso Puy-de-Dôme (Alvernia).

Il progetto verrà lanciato entro quest’anno ma la produzione non inizierà prima del 2025. Secondo una nota del ministero delle Forze armate di Parigi, i costi fisiologicamente aumenteranno «ma saremo meno dipendenti».

Sottomarini nucleari ‘patto Aukus?

I leader di Stati Uniti, Regno Unito e Australia hanno annunciato a San Diego i dettagli sulla compravendita di sottomarini a propulsione nucleare, pilastro del patto Aukus annunciato 18 mesi fa, segnala Mirko Briganti su Limes. Canberra si impegna ad acquistare entro l’inizio del prossimo decennio dai 3 ai 5 sottomarini americani classe Virginia – probabilmente di seconda mano e previa approvazione del Congresso Usa – per sostituire i propri obsoleti sommergibili Collins. Il costo dell’operazione è di circa 3 miliardi di dollari per naviglio. Personale della Marina australiana sta già ricevendo l’addestramento necessario nei sottomarini statunitensi.

E le ‘astronavi’ subacquee del futuro

Australia e Regno Unito inizieranno poi lo sviluppo e la costruzione di una nuova classe di sottomarini – denominata ‘Ssn-Auku’s – con il supporto e la tecnologia degli Stati Uniti. Il varo è previsto per lontani anni Quaranta. Tra una trentina d’anni, se va bene, produzione di un sottomarino ogni due anni, e una montagna di soldi in meno. Il costo stimato, da un minimo di 268 a un massimo di 368 miliardi di dollari australiani (tra i 167- e 229 miliardi di euro), includendo gli 8 miliardi (5 miliardi di euro) necessari all’ammodernamento della base navale di Stirling nell’area metropolitana di Perth (Australia Occidentale), dove a partire dal 2027 saranno ospitate a rotazione quattro unità navali Usa e una britannica.

Posti di lavoro come schermo

Il programma prevede che il progetto ‘possa generare 20 mila posti di lavoro nell’arco dei prossimi trent’anni’. Promessa impossibile da verificare. Considerando che l’attuale budget dell’intera difesa australiana arriva a 48.6 miliardi di dollari australiani (2,11% del pil), l’aggiunta di ulteriori 11 miliardi annui sarà una vera e propria sfida finanziaria. «Trattandosi del più grosso investimento mai fatto nella storia della difesa australiana, sarà anche oggetto di intenso dibattito pubblico», la facile previsione di Limes.


Massimo Recalcati: «Confini rafforzati e porti chiusi: così la nostra vita s’impoverisce»

La melanconia è un termine psichico preciso, che rimanda a un abbassamento dell’umore associato ad ansia, alla tristezza, ma rimanda anche a una temperie culturale romantica, alla Sehnsucht o allo spleen esistenziale: quanto di più inattuale in un’epoca come la nostra che si affida alla performance e alla resilienza.

“Il nostro tempo rigetta apparentemente ogni forma di melanconia. Piuttosto sponsorizza la dimensione iperattiva, performativa, maniacale della vita sottoposta al principio di prestazione. La caduta nella melanconia è segno di fallimento e di caduta appunto. Nondimeno io credo che vi sia una forma diffusa di melanconia, che chiamo neo-melanconia e che non ha più come modelli Leopardi o Schopenhauer o lo spleen baudeleriano, ma i giovani hikikomori, coloro che si ritirano dalla vita per paura della vita.

“Questo ritiro oggi diffusissimo è la faccia in ombra della maniacalità iperattiva che caratterizza, come direbbe Pasolini, la nostra società dei consumi. Dietro il circo dello spettacolo della performatività c’è l’ombra di una melanconia che anziché guarire il discorso del capitalista lo alimenta costantemente. Non è certo nel consumo compulsivo che troviamo una vita felice e soddisfatta».

Tu parli di “paradigma securitario”, espressione che ha chiaramente un’eco foucaultiana. In che cosa questo paradigma oggi è più asfissiante di quello che c’era – per fare un esempio – durante la Guerra fredda?

“Nessun tempo come il nostro ha enfatizzato la centralità della sicurezza. La vita sicura, protetta, è un ideale attuale che viene alimentato dalla sensazione diffusa di angoscia e di insicurezza. È, se si vuole, il tratto paranoico delle neo-melanconie: rafforzare i confini, chiudere i porti, alzare muraglie. Ma un eccesso securitario, un eccesso di difesa, impoverisce la vita, la rende, appunto, triste, melanconica. Lo schema è quello già intuito da Spinoza: le anime perse cercano un sovrano e un sovrano cerca le anime perse».

C’è una relazione tra questo paradigma e la progressiva medicalizzazione della società cui stiamo assistendo, non solo in occasione della recente pandemia, ma anche per esempio nel ricorso sempre più frequente alle certificazioni, penso per esempio all’ambito scolastico?

“La medicalizzazione generalizzata della vita è un aspetto della pulsione securitaria. In questo ha contribuito colpevolmente un uso inflattivo della psicologia cosiddetta scientifica. Se una bambina ha una piccola fobia alimentare viene diagnosticata come un’anoressica, se un bambino è un po’ inquieto viene diagnosticato come iperattivo. La certificazione di discalculia, di dislessia o di disturbo dell’apprendimento non si nega a nessuno… È una vera e propria colonizzazione psichiatrica della vita».

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Assemblea di Articolo21, Costante: «Il precariato è il più grande bavaglio all’informazione»

Intervenendo alla riunione dell’associazione, nella sede della Fnsi, la segretaria generale ha ribadito l’esigenza di «un quadro di regole nuove, adeguate ad affrontare le sfide che l’informazione ha di fronte». Di Trapani: «Felice di avervi qui, questa è casa vostra». Giulietti: «Facciamo rete in difesa della Costituzione».

Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi

“La nostra democrazia vive un momento difficile. Un momento in cui a soffrire sono tanti articoli della nostra Costituzione: l’articolo 21, il 3 il 36, l’articolo 11, lo stesso articolo 1. È soprattutto questo che va difeso, perché il lavoro è anche partecipazione dei cittadini alla vita sociale e, per i giornalisti, è anche diritto a quelle tutele e quelle garanzie che consentono a un cronista di essere libero». Così Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi, intervenendo all’assemblea dell’associazione Articolo 21 nella sede del sindacato martedì 14 marzo 2023.

«Il precariato – ha ammonito – è il più grande bavaglio all’informazione. Un giornalista precario è più debole, sotto scacco di ricatti, querele e ritorsioni. C’è il problema del lavoro regolare che manca, il problema dei compensi che non sono equi né dignitosi, i problemi delle concentrazioni editoriali, del conflitto di interessi, delle azioni legali bavaglio: un quadro drammatico. Per cambiarlo occorre l’impegno di tutti per ottenere una cornice di regole nuove, adeguate ad affrontare le sfide che l’informazione ha di fronte».

«Ringrazio le donne e gli uomini che da tanti anni danno vita a questa associazione», aveva esordito prima di lei il nuovo presidente della Fnsi Di Trapani. «Non un’associazione di giornalisti – aveva aggiunto – ma una comunità che ha saputo tenere insieme le storie diverse di tutti coloro che credono in alcuni valori fondamentali che uniscono queste persone e le loro battaglie. Sono felice di ospitare iniziative come questa con chi si ritrova intorno ai valori della cultura, della conoscenza e della Costituzione. Questa è casa vostra».

A Giuseppe Giulietti, predecessore di Di Trapani alla presidenza della Fnsi e tra i fondatori di Articolo21, il compito di aprire il dibattito presentando alcune proposte per una road map di iniziative «da decidere e promuovere insieme» con le organizzazioni dei giornalisti e le associazioni della società civile: dal prossimo 20 marzo, anniversario dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, al 3 aprile, data della nuova udienza del processo Regeni, fino al 25 aprile e alla marcia per la pace Perugia-Assisi, «per ribadire – ha rilevato Giulietti – che stiamo dalla parte della Costituzione antifascista, antirazzista e solidale».


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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