Dalla Fnsi: «Tira una brutta aria per l’informazione»
Querele bavaglio, libertà di informazione, tutela delle fonti e del diritto dei cittadini ad essere informati. Consiglio nazionale su questi temi ieri, 14 dicembre, davanti al Centro di produzione RAI di via Teulada “per ribadire l’esigenza non più rinviabile di norme stringenti a difesa del giornalismo e della qualità del lavoro dei giornalisti”. Con i colleghi di Usigrai, Ordine, Report, Domani, PresaDiretta, Articolo21, associazione amici di Roberto Morrione, Sant’Egidio, Arci, Libera.
«Siamo qui – ha esordito il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti – per essere vicini anche fisicamente alla redazione di Report, una delle più colpite dall’attacco alla tutela delle fonti e al diritto di cronaca”, ma siamo qui anche “per le giornaliste e i giornalisti di tutti i giornali e le trasmissioni che ogni giorno devono fare i conti con le querele bavaglio, con le conseguenze delle norme sulla presunzione di innocenza, con i divieti di avvicinarsi ai migranti che sbarcano dalle navi. Siamo qui per rimarcare il nostro no a qualunque forma di bavaglio all’informazione”.
“La situazione era già precaria – ha aggiunto – e ora tra prefetti che intervengono nei porti, questori, giudici che vogliono valutare la rilevanza sociale e querele bavaglio di governo, lasceremo anche quel 58° posto nelle graduatorie internazionali per la libertà di stampa per raggiungere rapidamente Polonia e Ungheria. Questo non è un problema dei giornalisti, è un problema dell’ordinamento democratico».

“E’ necessario – ha poi detto il segretario generale della FNSI Raffaele Lorusso – che tutti prendano coscienza del fatto che “si sta creando nel Paese un clima ostile nei confronti dell’informazione e di chi fa informazione. Sequestri degli strumenti di lavoro, pedinamenti, azioni legali, bavaglio sono aspetti diversi di un unico tentativo di indebolire il giornalismo anche attraverso atti concreti per smantellare i diritti dei lavoratori”.
Ad esempio, ha spiegato, «in queste ore si sta parlando di stanziare 100 milioni per ridurre l’occupazione senza alcuna intenzione di pensare a come creare lavoro, senza alcuna attenzione per i giornalisti precari. Si vuole un’informazione sempre più debole, che non sia in grado di nuocere o dare fastidio. Per questo si punta ad avere una categoria di giornalisti altrettanto debole. Questo vale per il diritto di cronaca, ma ancor di più sul fronte della tutela del diritto del lavoro”.
Fra le testimonianze che sono intervenute in seguito, quelle del direttore del quotidiano “Domani”, Stefano Feltri e del conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, di Elisa Marincola, portavoce di Articolo21, del segretario dell’Usigrai, Daniele Macheda. Quest’ultimo ha ricordato in particolare che «c’è bisogno di verità, ma non ci sono tutele a difesa del segreto professionale o contro le querele temerarie».
Per Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci, «questi sono temi di libertà che interessano non solo i giornalisti ma tutti i cittadini. Si parla di lavoro, diritti, democrazia: argomenti che riguardano ciascuno di noi». Patrick Boyle e Marinela Diaz della rete Free Assange Italia hanno illustrato poi le ragioni della mobilitazione a sostegno del giornalista fondatore di WikiLeaks.
«Querele e minacce fanno ancora più male se sei un giornalista precario, senza tutele, senza garanzie», ha detto quindi Mattia Motta che, in chiusura, insieme con Tiziana Tavella e Valerio Tripi dell’Assostampa Siciliana, ha presentato l’iniziativa lanciata a Palermo dell’albero di Natale precario. «La categoria – hanno rilevato – deve avere il coraggio di parlare dei problemi dei colleghi precari, delle condizioni di lavoro. Non è una questione corporativa, ma riguarda il diritto dei cittadini ad essere informati da giornalisti liberi e indipendenti».
Parlamentari europei a libro paga non soltanto per il Qatar

da Remocontro
Tangenti Ue. Secondo gli inquirenti belgi, distribuite mazzette a molti europarlamentari. Indagini sull’accordo con Doha per le linee aeree inviata all’autorità giudiziaria per indagini. Sappiamo del coinvolgimento dell’ex vice presidente del Parlamento, Eva Kaili, con quei 750 mila euro in valigia. Ma i media ellenici, però, scrivono di un fascicolo che comprende almeno altri 60 europarlamentari non ancora indagati.
Il fidanzato italiano della parlamentare greca confessa
Davanti agli inquirenti belgi Francesco Giorgi ha confessato di aver fatto parte di un’organizzazione utilizzata dal Marocco e dal Qatar allo scopo di interferire e condizionare gli affari europei. Il suo ruolo era quello di gestire i contanti. Lo scrive stamane il quotidiano francofono belga Le Soir in base a documenti visionati insieme a La Repubblica.
Secondo quanto scrive il giornale, Giorgi avrebbe anche indicato di sospettare che Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, entrambi europarlamentari del gruppo S&D, avrebbero preso soldi tramite Antonio Panzeri. Il Marocco sarebbe coinvolto nella vicenda di sospetta corruzione attraverso il suo servizio di informazione esterna, la Dged.
In base ai documenti consultati dai due quotidiani – si legge ancora sul giornale – Panzeri, Cozzolino e Giorgi sarebbero stati in contatto con con la Dged e con Abderrahim Atmoun, l’ambasciatore del Marocco in Polonia.
L’Euro associazione per delinquere
Oggi la Plenaria di Strasburgo voterà una risoluzione unanime per «sospendere tutti i lavori sui fascicoli legislativi che riguardano il Qatar». Ma è la traccia dei soldi che rappresenta la pista fondamentale. Finora la polizia federale ha sequestrato 1,5 milioni di euro, e si ipotizza che una parte del denaro servisse anche a corrompere altri parlamentari a libro paga.
Convalida degli arresti
Ieri, intanto, la Camera di consiglio di Bruxelles ha convalidato la detenzione preventiva per Panzeri e Giorgi, che resteranno in carcere per almeno un mese. Per Figà Talamanca, invece, solo il braccialetto elettronico.
Tra corruzione e spionaggio
I servizi di sicurezza di cinque Stati europei indagano sul tentativo di corruzione di parlamentari Ue ad opera di Paesi extra Unione. Ci sarebbe un presunto «sistema tangentizio ad ampio raggio», con lo scopo di incidere sui diversi dossier, anche di tipo economico, in corso di istruzione all’Eurocamera.
‘Qatargate’
Il procedimento giudiziario “Qatargate” sarebbe solo un troncone di questa maxi verifica d’intelligence. Lo scandalo «mazzette» sta investendo l’istituzione europea a Strasburgo, soprattutto dopo che le nuove rivelazioni non sembrano limitate a poche “mele marce”, ma una presunta «rete» di eurodeputati a libro paga di altri organismi esteri.
Le intelligence europee
I giornali belgi Le Soir e Kanck hanno interpellato il ministro della Giustizia belga, Vincent Van Quickenborne, che ha confermato l’esistenza di un’indagine dell’intelligence, spiegando che «il servizio di sicurezza dello Stato sta lavorando da più di anno, assieme ai servizi di intelligence stranieri, per identificare la sospetta corruzione di membri del Parlamento europeo da parte di vari Stati».
Interferenze straniere come spionaggio
In campo ci sarebbero cinque agenzie di sicurezza interne, scrtive il Sole24Ore, tra le quali – stando a indiscrezioni –anche l’Italia, di fronte ad «una minaccia per la sicurezza dello Stato». Stando alla ricostruzione, il Sureté dell’Etat, il servizio segreto del Belgio, aveva messo sotto controllo e intercettato Panzeri, probabile regista dell’affaire Qatar.
L’intelligence italiana?
Col Corriere della Sera scopriamo che l’agenzia interna per la «Sicurezza dello Stato» del Belgio ha lavorato per mesi con i servizi segreti di altri 5 paesi, ma non con quelli dell’Italia che sarebbero stati esclusi dall’operazione nonostante tutto sembri ruotare intorno a personaggi italiani.
‘Operazione Qatar’ dal 1021
L’operazione Qatar, rivelano fonti giornalistiche belghe, comincia nel 2021 come indagine su un’interferenza da parte di un paese straniero sui processi decisionali del Parlamento europeo, come quelli sulle posizioni da prendere nei confronti di paesi accusati di non rispettare i diritti umani quali il Qatar, molto attivo per raggiungere un’intesa con la Ue sull’aviazione (ora bloccata dopo lo scandalo).
L’Aiuto dei PM di Milano
E i pm di Milano che danno assistenza in Italia ai colleghi greci per le propaggini italiane dell’indagine, parlano di europarlamentari a «libro paga», plurale che lascia immaginare un orizzonte investigativo più esteso di quello che al momento appare. Secondo la stampa greca, come già abbiamo detto, avrebbero sotto osservazione «oltre 60 eurodeputati». Estensione numerica e politica. Dal blocco socialista verso «nuovi partiti della destra».
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Distanze
di Massimo Marnetto
Vedere la magistratura belga al lavoro nel caso-Qatar, fa capire che l’Italia è diventato un paradiso penale. Qui l’impunità viene spacciata per garantismo. La legge si preoccupa del comfort dell’accusato illustre e non del patimento della vittima. Il reo che sconta la pena va rieducato, dice giustamente la Costituzione. Invece noi stiamo rieducando le vittime a non aspettarsi più giustizia, perché la potente lobby dell’illegalità sta disarmando gli inquirenti e limitando il controllo della stampa.
La giustizia e persino la correttezza era ”la” questione (morale) della sinistra. Deve tornare presto ad esserlo. Io – elettore di sinistra – mi vergogno per lo scandalo di Panzeri. Vorrei che questo sentimento – la vergogna – fosse espresso anche dai dirigenti di Articolo 1 e del PD, pur se penalmente estranei. Sentirsi parte del problema è l’unico modo per prenderne le distanze.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)