Da oggi sulla Gazzetta non Ufficiale è pubblicata la legge di bilancio della campagna Sbilanciamoci!
NB l’immagine di copertina si riferisce alla “legge” del 2018(nandocan)
“In questo modo – ricorda Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci – vogliamo denunciare i ripetuti e persistenti ritardi di questo governo e di quelli precedenti sulla legge di bilancio, che arriva in parlamento con settimane di ritardo. Da anni la discussione sulla legge di bilancio semplicemente non esiste: tutto viene risolto nelle trattative nel governo e tra qualche ministro” .
Ecco perché la legge di bilancio quest’anno l’ha fatta Sbilanciamoci, senza aspettare quella del governo, e l’ha pubblicata sulla sua Gazzetta non Ufficiale. La legge di bilancio alternativa è di 91 misure specifiche con quasi 59miliardi e 370milioni, senza scostamenti di bilancio e senza ricorrere al debito. Gran parte delle entrate sono date da misure di giustizia fiscale, chiedendo ai privilegiati e ai ricchi di contribuire in modo veramente equo ai bisogni del paese: bisogna ridurre le diseguaglianze drammaticamente aumentate in questi anni.
Ambiente, diritti, pace. Una legge di bilancio alternativa per ridurre le disuguaglianze
“Le uscite si orientano – conclude Marcon – verso la costruzione di quel nuovo modello di sviluppo che dalla nascita della campagna auspichiamo: misure per la transizione ecologica, la sanità ed il welfare, l’economia solidale, i diritti. E naturalmente sui temi del momento – la guerra e l’immigrazione – le nostre proposte sono conosciute da tempo: riduzione delle spese militari e investimenti per un’accoglienza senza sé e senza ma dei migranti e una durissima lotta al razzismo”. Sbilanciamoci ha richiesto incontri a tutte le forze politiche per consegnare la Gazzetta non Ufficiale e illustrare la legge di bilancio alternativa della campagna.
Scarica la Gazzetta non Ufficiale della Campagna Sbilanciamoci!: compila il formulario qui sotto.
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Turchia politica. Erdogan, nazionalismo contro disastro economico e la trovata Cipro Nord
di Michele Marsonet su Remocontro
Il presidente turco Erdogan è arrivato a Bali, in Indonesia, per il vertice del G20, il giorno dopo l’attentato nel centro di Istanbul che l’amministrazione turca vuole ricondurre al gruppo armato curdo Pkk.
Successi diplomatici turchi e ora la minaccia terroristica a mettere in ombra la grave crisi economica in vista delle presidenziali 2023, con Erdogan a rischio dopo venti anni di potere.
L’autoritarismo elettorale di Erdogan
Nonostante le tendenze autoritarie di Recep Tayip Erdogan, la Turchia è tuttora un Paese in cui la scelta del premier è decisa con elezioni libere e democratiche. Le prossime si terranno il 18 giugno 2023 e, ovviamente, il Sultano si dice sicuro di vincerle.
La formazione politica di Erdogan “AKP”, “Partito della Giustizia e dello Sviluppo”, di matrice islamica, con 316 eletti, ha il controllo del Parlamento di Ankara. Anche se, com’è noto, l’AKP è molto forte nelle campagne e nelle aree meno sviluppate, mentre gli oppositori laici, kemalisti e curdi, dominano nelle maggiori città come Istanbul, Ankara e Izmir (l’antica Smirne).
Erdogan sì o no
Due sono i fattori da tenere in considerazione per capire se Erdogan sarà davvero in grado di farsi rieleggere l’anno prossimo. Il primo è il nazionalismo sul quale egli ha puntato moltissimo in questi anni, e che viene visto con favore da vasti strati della popolazione (e ora esasperato dal ritorno della minaccia terroristica Ndr)
Inseguendo il suo sogno neo-ottomano, l’attuale leader ha saputo abilmente ritagliarsi uno spazio di mediazione in ambito internazionale. Per esempio nel conflitto tra Federazione Russa e Ucraina, nel Caucaso appoggiando gli azeri contro gli armeni, in Libia e in altre nazioni africane come la Somalia. Agendo tanto sul piano diplomatico quanto su quello militare, la Turchia è dinamicamente presente in tutte le aree di crisi, incluso il Mediterraneo dove la tensione con la Grecia resta altissima.
Diplomazia ‘ottomana’ a tutto campo
Questo grande attivismo, tuttavia, ha costi enormi, e molti cittadini turchi si chiedono fino a che punto sia sostenibile. Il problema, infatti, è che l’economia del Paese versa in condizioni disastrose. L’inflazione galoppa ed è ormai giunta quasi all’84% su base annua. La disoccupazione supera il 10% e la lira turca è ai minimi storici rispetto a dollaro e euro.
Uno scenario da default imminente, insomma, che alimenta le proteste e il malcontento della popolazione. Si dà però il caso che il Sultano, piuttosto che cercare di migliorare le prospettive dell’economia nazionale, preferisca ancora una volta puntare le sue carte sulla politica estera nella quale, gli va riconosciuto, ha riscosso parecchi successi.
‘Repubblica turca di Cipro Nord’
Ora sta lavorando per il riconoscimento internazionale di Cipro Nord, ufficialmente “Repubblica Turca di Cipro del Nord”, vale a dire il mini-Stato collocato nella parte settentrionale dell’isola cipriota, e che attualmente è riconosciuta soltanto da Ankara. Scontata la contrarietà della Repubblica di Cipro, che è membro dell’Unione Europea e si estende su circa due terzi dell’isola.
Erdogan, con una delle sue solite mosse da abile giocatore di poker, è riuscito a far invitare ufficialmente Cipro Nord al summit dei Paesi turcofoni, in programma in Uzbekistan Ha solo un ruolo di “osservatore”, ma lo scopo è evidentemente quello di “sdoganare” Cipro Nord avviandola verso un futuro di Stato indipendente (per quanto satellite di Ankara, com’è già ora).
Distrazioni di massa dai conti disastro
Netta e scontata la contrarietà di Bruxelles, che punta invece alla riunificazione delle due parti di Cipro entro la Ue. Positiva, com’era lecito attendersi, la reazione dei nazionalisti turchi e di importanti nazioni turcofone quali l’Azerbaigian.
Resta però l’incognita della grave situazione economica turca. Ai fini della rielezione di Erdogan l’anno prossimo peserà di più l’orgoglio nazionalista, che nel Paese è sempre stato forte? Oppure conterà maggiormente la preoccupazione per una situazione economica assai precaria? In attesa di sondaggi plausibili, è chiaro che il Sultano non può affatto dormire sonni tranquilli.
Tags: Erdogan presidenziali
Film
di Massimo Marnetto
Serve un naufragio da respingimento per cambiare le regole di accoglienza europea? O la foto straziante di un altro bambino spiaggiato, come il piccolo profugo siriano annegato nel 2015 a Bodrum? In questa fase di stallo e recriminazioni innescate dalla vicenda della Ocean Viking, sembra che solo una forte emozione unita a un senso di colpa collettivo possa sbloccare la revisione del Trattato di Dublino sugli sbarchi dei migranti.
Vorrei che un regista ne facesse un film. Con una nave di una Ong rifiutata da tutti i porti. I sovranisti che fomentano il respingimento sulle banchine di vari stati europei, la gente urlante con i volti deformati da paura violenta. Le sinistre che tacciono per non sembrare buoniste. E un finale a sorpresa: la nave che risale il Tevere e sbarca in Vaticano.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)