Quando spariscono i poeti del popolo
di Antonio Cipriani
Nei miei Polemos la poesia prende spesso forma. Mi incanto e seguo la traccia di meraviglia che batte il tempo, scrive la storia, dilata lo spazio del pensiero e spalanca al canto la nostra vita. Nel periodo più duro, di fronte all’ingiustizia più truce, la poesia traccia un altro mondo possibile. Danzano le parole, si congiungono e spezzano il pane della sapienza, giocando con chi ha il coraggio di farsi bardo della rivolta e di chi ha la cura dell’ascolto, del sospendere giudizio e rutilante conforme azione di corpi e teste obbedienti. Sovvertendo con dolcezza la tragedia dell’assuefazione.
Attila Jozsef c’è sempre. Qualche giorno fa, su queste pagine, l’ho definito: “Un indagatore di stelle che si interroga su chi potrà spazzare la tristezza, su chi pianterà giardini nei nostri occhi e chi nella nostra anima sveglierà l’anima”.
Già, la poesia parla dell’anima all’anima.
Siccome sono lo stesso non allineato di sempre, avevo aggiunto un elemento penoso per la nostra cultura semplificata e mediatica, fatta di insignificanti che si prendono la scena, di filosofi che fanno finta di dare profondità a pensieri banali e formattati: i libri di Attila Jozsef sono ormai introvabili, fuori commercio. Tutto ciò che rende fertile un pensiero diverso, potente e libero, sparisce dalla nostra esistenza. Come una consuetudine malata, un dato del mercato da tener conto. Mi pare si stia asfaltando la strada in modo che non ci sia più bisogno di pietre culturali di inciampo.
Tra qualche giorno vedremo nelle librerie fiorire le cataste di pubblicazioni natalizie, vedremo il marketing dei grandi nomi occupare militarmente gli spazi, ma non troveremo quei libri in grado di sovvertire e creare uno sguardo diverso sulla vita. Un punto di domanda, un significato più lieve, più profondo, più lento. Qualcosa che possa parlare alla nostra anima dell’anima.
Non in tutte le librerie, ovviamente. Ce ne sono ancora di tenaci controcorrente. Vanno sempre scelte quelle.
Comunque il miracolo. Una lettrice amica mi ha consigliato come e dove trovare i libri di Attila Jozsef, roba da collezionisti… e mia moglie, a mia insaputa, ha scovato “Con Cuore puro”. Un gioiello. Un atto d’amore. Un seme rivoluzionario.
A parte la bellezza dell’edizione del 1971, curata da un filologo come Umberto Albini, mi ha colpito rileggere la quarta di copertina su Jozsef: “…il bardo della rivolta, il poeta del popolo, un lirico d’amore, un profeta sociale, l’ultimo francescano…”
Tutte cose inutili nella sfavillante fuga in avanti mediatica che non ha bisogno di rivolta, di popolo, d’amore, di francescanesimo, di lirica, di preghiera e tantomeno di un profeta sociale. Ecco, la cultura tappetino che siamo abituati a vedere stesa come un red carpet delle emozioni codificate, delle meditazioni regimentate, non ha alcun bisogno di chi canta il povero, il cuore puro, l’uomo stanco, la desolazione e la dolcezza, la fatica e la gioia. Di chi parla con Dio della misericordia, coi compagni delle paure, per far cessare il difetto del mondo.
Beh, noi non ci arrendiamo neanche di fronte all’evidenza più perfida. Quindi progetteremo incontri, ricordando sempre che la poesia non nasce per esaltare il poeta, ma per celebrare la comunità. Vivere un avamposto culturale è anche questo…
Bali e dispari
di Massimo Marnetto
Joe Biden e Xi Jinping si incontrano al G20 di Bali, dopo che entrambi hanno visto confermato il loro potere interno. Il loro ascendente su Russia (Xi) e Ucraina (Biden) è reale: se decidono la pace, possono indurre i loro alleati a sedersi a un tavolo.
Tutto il mondo è in attesa, nonostante la questione di Taiwan; ma Usa e Cina sanno entrambi che in questo momento la pubblica opinione mondiale è stanca dei contraccolpi di questa guerra, sicché anche un cessate il fuoco produrrebbe un consenso globale, al limite del Nobel per la Pace.
Paradossalmente, il guastafeste dispari rispetto a un accordo di pari rinunce potrebbe essere proprio Zelensky, incoraggiato dalla riconquista di Kherson a riprendersi tutto il territorio invaso, Crimea inclusa. Qui, Usa e Europa dovranno sintonizzare le loro diplomazie per raffreddare le mire del Presidente ucraino. Magari mettendo sul tavolo più miliardi per la ricostruzione, che invio di altre armi.
L’occasione del grande gelo invernale
Il capo dei militari Usa apre al negoziato, Washington divisa, Putin minacciato in casa
da Remocontro
«In una autocrazia diamo al sovrano pienezza assoluta dei poteri per salvarci tutti, ma anche totalità delle responsabilità in caso di fallimento». Lo ha scritto su Telegram il filosofo Alexander Dugin in un duro attacco a Vladimir Putin dopo la ritirata a Kherson.
Mark Milley, Capo di Stato Maggiore Usa: «Adesso ci sono delle possibilità di soluzioni diplomatiche. Bisogna afferrare l’opportunità». Le truppe russe scavano trincee in vista dell’inverno, a difendere i territori conquistati.
L’amministrazione Biden, uscita salva dalle Midterm, litiga in casa. Parte del governo per mettere fine alla guerra premendo su Kiev, e il presidente che invece di chiarire confonde: «Resta da vedere se ci sarà o meno un giudizio sul fatto che l’Ucraina sia pronta o meno a scendere a compromessi con la Russia».

La guerra che non si può vincere
Fulvio Scaglione su Avvenire: «Come quasi sempre accade, i militari si mostrano più saggi e perspicaci dei militaristi. Così è toccato al generale Mark Milley elencare alcune delle verità che risultano così indigeste ai sostenitori della guerra a oltranza in Ucraina contro la Russia». L’invasione dell’Ucraina tremendo errore strategico che la Russia sconterà per molti anni a che l’Ucraina sta pagando con il prezzo tremendo tra i 15 e i 30 milioni di rifugiati e profughi e almeno 40mila civili uccisi, senza contare le distruzioni materiali. I due eserciti stanno soffrendo perdite enormi, l’uno e l’altro ben oltre i 100 mila uomini tra morti e feriti. E soprattutto, Milley ha ribadito: «Bisogna accettare il fatto che una vera vittoria militare è sempre meno possibile per l’una e per l’altra parte, e quindi bisogna ricorrere ad altri mezzi per risolvere la situazione».
I generali colombe
E scopriamo che non è la prima volta nella storia americana che i generali hanno il ruolo di «colombe». Una lunga tradizione di militari moderati, che sull’uso della forza hanno posizioni più caute rispetto ai politici che la guerra la fanno fare. Giro di boa delle elezioni di mid-term, e il dibattito interno all’amministrazione Biden sull’Ucraina torna alla luce del sole. E il generale Mark Milley ha deciso di esporre la sua posizione in pubblico: «Le forze armate ucraine – ha detto il capo del Joint Chiefs of Staff – hanno combattuto fino a bloccare i russi e a inchiodarli in una situazione di stallo. Cosa accadrà in futuro non lo sappiamo, ma adesso ci sono delle possibilità di soluzioni diplomatiche. Bisogna afferrare l’opportunità». Retroscena svelato dal New York Times.
L’occasione del grande gelo invernale
Riprese satellitari, che mostrano le truppe russe a scavare trincee che si preparano a difendere alcuni dei territori occupati per i mesi invernali, in vista di una stabilizzazione nei rapporti di forze tra le due parti.
I mesi del grande gelo invernale potrebbero vedere pochi cambiamenti sul terreno, ma anche la «finestra di opportunità» per indurre Putin a negoziare. Lo spettro della prima guerra mondiale, che il presidente del Joint Chiefs of Staff ha usato nella sua conferenza all’Economic Club di New York. Conflitto paralizzato su linee quasi immobili, ma capace di fare milioni di vittime. Quindi, cominciare a escludere una soluzione militare e puntare su una soluzione politica. Il problema naturalmente sono le condizioni del negoziato e i vincoli per questa soluzione politica. Biden si ripete Ma non convince: «Nulla verrà deciso sull’Ucraina senza l’Ucraina». Intanto però il suo consigliere strategico Jake Sullivan nell’ultimo viaggio a Kiev ha convinto Zelensky ad abbandonare la pregiudiziale con cui rifiutava per principio un negoziato finché Putin è al potere.
Pace, guerra, transizioni . Le prospettive della Sinistra.
«Benvenuti nel mondo delle poli-crisi (delle crisi multiple)». La frase, citata oggi nel sito della “Bottega del Barbieri” dall’intervento di Simone Oggionni ad un convegno organizzato da www.luciomagri.eu, è anche il titolo di un articolo, pubblicato sul Finacial Times, di Adam Tooze, analista e storico della Columbia University, che secondo Oggionni “spiega precisamente le settimane che stiamo vivendo”.
“Negli anni Settanta – scriveva Tooze – sia che tu fossi un euro-comunista, o un ecologista o un incallito conservatore, potevi attribuire le tue preoccupazioni a una singola causa: il capitalismo, una crescita economica eccessiva o troppo debole, un eccesso di indebitamento. Ora non è più così”.
Coglie nel segno, commenta Oggionni: “Oggi non esiste una causa unica, non esiste una crisi unica. Non solo perché al crocevia dei problemi che ho elencato si somma e si interseca la gigantesca dimensione della crisi ambientale, su cui non mi dilungo. Non solo per la abnorme dimensione della nuova crisi sociale… Ma anche perché esiste un elemento nuovo, che riguarda il capitalismo e anche la guerra, che a me pare emerga con enorme evidenza (un’evidenza paradigmatica) nella vicenda che riguarda Elon Musk.
Non solo “l’uomo più ricco del mondo”
“Musk lo conosciamo tutti: è l’uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di 232 miliardi di dollari, amministratore delegato di Tesla, fresco proprietario anche di Twitter. Negli ultimi otto mesi ha fatto due cose che ci interessano da vicino sul terreno della guerra. A febbraio ha assicurato l’invio in Ucraina dei terminali internet Starlink della sua azienda Space X, garantendo le comunicazioni militari e civili in Ucraina, le sue risorse di connettività satellitare, dando informazioni anche sull’avanzata russa, dopo che ovviamente come primo gesto offensivo l’esercito russo aveva messo fuori uso le linee telefoniche e telematiche ordinarie ucraine.
Un vero e proprio piano di pace
“Ai primi di ottobre, quindi poche settimane fa, ha invece interrotto il servizio, chiedendo al governo statunitense di farsene carico, e ha proposto, sempre via twitter, un vero e proprio piano di pace, per nulla peregrino: riconoscimento della Crimea russa, garanzia del rifornimento idrico costante alla Crimea, neutralità militare dell’Ucraina (dunque fuori dalla Nato), e un nuovo referendum per le province russofone dell’Est. Ancora meno peregrina è la postilla con cui ha accompagnato la proposta: «è altamente probabile — dice Musk — che il risultato sarà questo, si tratta di capire quanti morti servono ancora prima che si realizzi».
Perché ho parlato di Musk? Perché il destino del conflitto tra Russia e Ucraina è nelle mani, tra gli altri, di un uomo che non è alla guida di uno Stato ma di un’azienda tecnologica privata, anzi di un vero e proprio impero. Ed è una storia che racconta meglio di qualsiasi altra la realtà del capitalismo tecno-finanziario, di quella che qualcuno ha iniziato a definire il «colonialismo digitale» e che, ben oltre Musk, si fonda su poteri big tech che ormai sovrastano i poteri pubblici delle istituzioni democratiche.
- Usa ed Europa non più al centro del mondoUsa ed Europa non più al centro del mondo.Il mondo nuovo su cui pochi oggi capiscono qualcosa, mentre due voti a distanza di migliaia di chilometri da Bratislava a Washington segnano il futuro della guerra in Ucraina. Dopo G7, G20, Brics, Onu, la politica dei blocchi cambia ancora, prova ad analizzate Avvenire, preoccupato. Usa ed Europa sempre più sgraditi, mentre la Russia, nonostante la guerra, resta forte. E la Cina è pronta ad abbandonare il soft power armandosi rapidamente. E gli emergenti premono, il segnale ultimo.
- SintoniaNel Sinodo, la Chiesa Cattolica si interroga sulla propria sintonia con la storia. I temi (dubia) toccano il sacerdozio femminile, il rapporto con divorziati, minoranze sessuali e la ferita sempre aperta degli abusi sessuali del clero. Riuscirà Francesco ad aggiornare la dottrina, superando l’ostruzionismo della frangia fondamentalista che vede in ogni aggiornamento teologico un’eresia?
- Un giudice a CataniaDall ‘Avvenire di oggi: “Giorgia Meloni interviene con durezza sulla recente sentenza del tribunale di Catania che ha “liberato” quattro migranti sbarcati a Lampedusa e trasferiti nel centro di Pozzallo: «Siamo di fronte a una pressione migratoria senza precedenti – scrive sui social la premier in prima mattinata -. Il governo italiano lavora ogni giorno per fronteggiare questa situazione e contrastare l’immigrazione illegale di massa».
- Ci risiamoNon so quanto la prospettiva di un governo tecnico sia d’attualità, vista la maggioranza ancora solida che sorregge il governo Meloni. Ciò premesso, la penso anch’io come Gilioli – ieri caporedattore di Espresso-repubblica e oggi direttore di Radio popolare. Basta con questa storia del governo tecnico, che viene annunciato ma in realtà suggerito dai “giornaloni”. Come ogni volta che un governo, di destra o di sinistra, poco importa, non fa fino in fondo il suo dovere di obbedire in tutto e per tutto alle direttive dell’establishment.
- Assemblea!Sbaglia l’amico Massimo Marnetto a presentarlo come una creatura di Michele Santoro, che ha indubbiamente il merito di avere messo la sua popolarità e abilità comunicativa al servizio di obbiettivi indicati da tempo da Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli e “Costituente Terra”. E a darne atto a quest’ultimo era stato proprio lo stesso Santoro intervistato due giorni prima dalla Gruber a “Otto e mezzo”.