Reader’s – 13 luglio 2022 (rassegna web)

“Ma i lapsus di Biden tradiscono i suoi sogni?” Se lo chiedeva giorni fa il Corriere della Sera a proposito di una battuta del presidente americano Joe Biden che aveva citato la Svizzera per la Svezia. “Che Washington progetti l’allargamento della Nato ai confini della Russia fin dai giorni della caduta del Muro di Berlino è un fatto storico accertato da più fonti”, precisava anche su Remocontro l’editorialista del Corriere Massimo Nava.
“Oggi, vigilia di Biden in Israele e Arabia Saudita da redimere nonostante le irrisolta e sempre più drammatica questione palestinese o l’assassinio di Khasshoggi lavato nel petrolio, il dubbio di Nava torna di stretta attualità. Autoironia per non piangere.

Un piano, commenta Massimo Nava, quello dell’allargamento della Nato fino ai confini della Russia, “teorizzato negli anni Ottanta dalla dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Usa Brzezinski e criticato da personalità di diverso orientamento e collocazione politica. Basti citare Kissinger, Papa Francesco, Gorbaciov e molti altri. Zbigniew Brzezinski considerava l’allargamento della Nato «fondamentale per la costruzione graduale di un sistema internazionale sicuro in cui l’alleanza svolga il ruolo principale nell’assicurare che un’Europa pacifica e democratica sia il principale partner dell’America». Che questo progetto sia stato decisamente messo in pratica nel corso degli anni e finalizzato dopo l’invasione russa dell’Ucraina è cronaca di questi giorni.

Ma che l’Alleanza possa comprendere anche la neutrale Svizzera sembra francamente improbabile, a meno che la patria di Calvino e del cioccolato non rientri anche questa nei sogni di Biden. O forse è solo un lapsus, come ovviamente suppone il quotidiano svizzero “la Tribune de Genève”.

Biden fa molta confusione

Il presidente degli Stati Uniti, osserva Massimo Nava, parlando in una conferenza stampa al termine del vertice della Nato a Madrid, ha raccontato le fasi che hanno portato alla storica decisione dell’alleanza di espandersi fino a includere Finlandia e Svezia. Il presidente americano si è reso conto dell’errore e ha detto, senza giri di parole: «Svizzera… Mio Dio… Mio Dio… Voglio davvero che la Nato si allarghi». Davanti ai giornalisti divertiti, ha chiarito che si riferiva alla «Svezia», scrive il giornale ginevrino. Del resto, Biden non è il primo presidente americano ad avere qualche problema con la geografia. George W. Bush scambiò la Slovenia con la Slovacchia. Una gaffe fatta a suo tempo anche da Silvio Berlusconi.

L’America spesso sbaglia geografia

“Anni fa, a Londra, per iniziativa dei rispettivi ambasciatori, fu organizzata una conferenza per chiarire le differenze fra Slovacchia e Slovenia ed evitare imbarazzanti confusioni. Nel 2002, il primo presidente della Slovenia fu accolto in Romania con l’inno nazionale slovacco. Nel 2003, a Roma, Berlusconi presentò il primo ministro sloveno chiamandolo «primo ministro della Slovacchia». Ma Bush, recentemente ha fatto di peggio, un lapsus che più freudiano non si può quando ha denunciato la decisione di un uomo (Putin) di lanciare un’invasione «completamente ingiustificata e brutale dell’Iraq… intendo dell’Ucraina». «Ma sono vecchio», si scusò, dimenticando di essere di qualche anno più giovane di Biden.

Salviamo il neutrale cioccolato svizzero

La decisione dei due Paesi nordici, storicamente non allineati militarmente, è un passo importante per l’organizzazione della difesa. La Svizzera, invece, è sinonimo di neutralità e la sua adesione è una questione di fantascienza diplomatica. Questo nonostante alcune recenti iniziative che hanno ravvivato il dibattito in Svizzera su questo sacrosanto principio: il Paese si è schierato a favore delle sanzioni europee contro la Russia e per due anni sarà anche membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Passi che fino a ieri sembravano Fantascienza. Appunto! Ma se riusciamo a sorridere, in fatto di gaffes non ci facciamo mancare nulla.

Carri armati in direzione Ucraina

Secondo quanto riferisce Il Mattino di Napoli, un convoglio di carri armati diretto in Ucraina è stato fermato per un controllo dalla Polizia stradale sull’autostrada Salerno-Caserta. I trattori e i semirimorchi impiegati dalle ditte private incaricate del trasporto dei tank dell’esercito sono risultati sprovvisti della carta di circolazione. Inoltre, anche la revisione periodica era scaduta, e uno dei conducenti non aveva l’autorizzazione per guidare mezzi di trasporto eccezionali.

Tre carri armati sono stati inviati nuovamente alla base di Persano, in attesa di essere ritrasportati su automezzi in regola con le carte di trasporto. La gloriosa resistenza ucraina può attendere il semaforo verde della Polstrada.


….e a proposito di spesa militare, Remocontro ci informa anche che:

Negli ultimi 30 anni sono quadruplicate le missioni

Dal 1945 a oggi l’Italia ha partecipato a 151 missioni militari all’estero. E il dibattito sull’invio di armi all’Ucraina ha riacceso le luci sul tema della spesa militare italiana. Finisce la Guerra Fredda  ma aumentano gli impegni militari. Dopo la caduta del Muro un incremento verticale del numero di missioni militari. Dalle 5 di media degli anni 90, si è arrivati alle 37 (forse) attualmente in corso.

Multilateralismo e scaricabarile

Cambio di scenario geopolitico mondiale e un nuovo multilateralismo spesso pasticciato col coinvolgimento di enti sovranazionali politici (come l’Unione Europea), militari (la NATO) o ibridi (le Nazioni Unite). Indicativo il dato sui cui sarebbe forse utile discutere, che dopo il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, il nostro paese è il primo per numero di soldati impiegati in missioni NATO.

Il ‘Mediterraneo allargato’

Sino a trent’anni fa gli impegni militari italiani erano concentrata nei Balcani, travolti dalla disgregazione Jugoslava e dal forte nazionalismo albanese. Poi un graduale spostamento su spinta esterna. Prima il Medio Oriente, seguendo la guida americana in Iraq e Afghanistan, ora l’area del Nordafrica e del Sahel, definita con accorta malizia “Mediterraneo Allargato”.

Fallimento delle ‘Missioni di pace’

Il recente fallimento della “War on Terror” in Iraq e Afghanistan, la gestione della caccia a Osama Bin Laden, la guerra in Libia e la crisi economica del 2008 hanno incrinato il mito delle missioni di pace e corretto almeno in parte le volontà politiche. Nel luglio 2021, il Parlamento aveva approvato a stragrande maggioranza una serie di manovre che prevedranno un numero massimo di 9mila militari impegnati nelle missioni in tutto il mondo.

La situazione attuale nota

Attualmente –e prima della novità Quatar, Madagascar e fronte Sud-Est Nato-, ci sono soldati italiani impegnati in Bosnia Erzegovina, Romania, Iraq, Macedonia del Nord, Kosovo, Serbia, Lettonia, oltre a quelli delle operazioni Sea Guardian, EUNAVFOR Med Irini, Frontex e NATO Standing Naval Forces, nel Mediterraneo. Altri contingenti operano in Mali, Libano (con 1076 militari nel 2020), Cipro, Sahara Occidentale, confine tra India e Pakistan, Somalia, Repubblica Centrafricana, Stretto di Hormuz, Egitto, Kuwait, Malta, Libia, Niger, Gibuti e Palestina.

151 missioni militari italiane all’estero

Dal 1945 a oggi l’Italia ha partecipato a 151 missioni militari all’estero. Di queste, 132 (l’87%) è iniziata dopo la fine della Guerra Fredda, con un incremento enorme dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Un quarto (37) sono state nei Balcani, 29 nell’Africa Subsahariana, 28 nel Mediterraneo Allargato, 25 in Medio Oriente, 18 in Europa (Balcani esclusi), 10 in Asia, 4 in America Centrale.

Le principali missioni prorogate

  • In Europa:
  • Joint Enterprise della Nato nei Balcani: 1.490 effettivi al massimo, con 367 mezzi terrestri e due aeromobili al seguito;
  • Eulex-Kosovo, con 28 effettivi al massimo ed otto mezzi terrestri;
  • Eufor Althea in Bosnia-Erzegovina: 66 effettivi al massimo senza alcun mezzo;
  • Sea Guardian della Nato nel Mediterraneo: due navi con due aeromobili e 240 uomini al massimo;
  • Eunavformed Irini nel Mediterraneo: con una nave maggiore, due aeromobili ed un massimo di 406 effettivi impiegati.
  • In Asia:
  • Unifil in Libano, con un massimo di 1.169 uomini, 368 mezzi terrestri, una nave e 7 aeromobili;
  • Missione addestrativa in Libano, 160 uomini al massimo, una nave ed un aeromobile;
  • Coalizione anti-Daesh: 650 effettivi al massimo, 97 mezzi terrestri ed 11 aeromobili. Costo di oltre 217 milioni;
  • Missione Nato in Iraq: 610 effettivi al massimo, 100 mezzi terrestri ed otto aeromobili;
  • Personale di supporto logistico impiegato negli EAU, Kuwait, Bahrein, Qatar e a Tampa: 145 effettivi con due aeromobili.
  • In Africa:
  • Missione bilaterale di supporto in Libia: un massimo di 400 effettivi, 69 mezzi terrestri e due aeromobili;
  • Missione di supporto alle autorità del Niger: 350 effettivi, 100 mezzi terrestri e sei aeromobili;
  • Task Force Takuba nel Sahel: 250 effettivi, 44 mezzi terrestri ed otto aeromobili (al momento rientrati in Italia);
  • MFO in Egitto: tre navi e un massimo di 78 effettivi;
  • Missione navale europea Atalanta: una nave, due aeromobili ed un massimo di 199 effettivi;
  • EUTM Somalia (un massimo di 167 effettivi con 33 mezzi terrestri), l’EUCAP Somalia (15 efettivi) 
  • Addestramento delle forze di polizia somale e gibutiane, delle forze armate gibutiane e dei funzionari yemeniti: 75 effettivi;
  • Personale nella base nazionale italiana a Gibuti: 147 effettivi con nove mezzi terrestri al seguito.
  • Rinnovate le seguenti operazioni:
  • Operazione Mare Sicuro nel Mediterraneo con 6 navi, inclusa quella che assiste a Tripoli la Marina libica, otto aeromobili e fino a 774 effettivi;
  • Il dispositivo aeronavale nel Golfo di Guinea, una nave con due aeromobili ed un massimo di 190 effettivi;
  • Partecipazione alla Emasoh nel Golfo Persico, con una nostra nave, due aeromobili ed un massimo di 200 unità;
  • Partecipazione NATO per la sorveglianza dello spazio aereo alleato, la sorveglianza navale dell’area sud, la presenza in Lettonia e l’Air Policing.

Le spie sul campo e i conti finali

Trenta milioni vengono stanziati a sostegno dell’attività intelligence dell’AISE a supporto delle missioni all’estero. In totale, l’impegno complessivo oltremare per quest’anno è quantificato in una forza massima impiegata pari ad 8.505 effettivi, un dispiegamento medio di 5.978, ad un costo di 1,171 miliardi di euro.


13 miliardi di anni luce

L’invito di Massimo Marnetto, oggi, è quello, tante volte inutilmente rivolto dai saggi, di provare a guardare il pianeta azzurro dall’immensità dello spazio. “Grazie a un avanzatissimo telescopio, siamo arrivati a vedere galassie profonde 13 miliardi di anni luce. Cíoè quel luccichio che colpisce la lente di oltre sei metri di diametro dell’osservatorio più potente mai realizzato è partito 13 miliardi di anni fa. C’è da avere le vertigini di fronte a tanta immensità.

Eppure, nel nostro microscopico e bellissimo pianeta ci stiamo facendo guerre ”di assaggio”, pronti per sferrare quella di autodistruzione totale. Che ridurrà il pianeta azzurro un ammasso di grigia gelatina, butterato da crateri nucleari. L’astronomia dovrebbe essere la più potente disciplina pacifista. Perché dovrebbe farci sentire uniti in questo nostro pianeta-arca che naviga nell’infinito. Dovrebbe…


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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