Reader’s – 11 novembre 2022. Rassegna web

Se ne parla da vent’anni, da quando cioè “i grandi movimenti contro la globalizzazione hanno fatto il loro ingresso sulla scena della politica nazionale e mondiale” e forse avrebbe potuto accadere anche da noi quanto è accaduto in Spagna con Podemos. A scriverlo è Alfonso Gianni, anziano politico della sinistra radicale, piu’ volte eletto in parlamento dove era considerato il “braccio destro” di Bertinotti. E fu appunto quest’ultimo, eletto alla presidenza del Partito della Sinistra Europea, che cercò di promuoverne l’iscrizione individuale diretta. Fallì, anche perché “l’attrattiva del Partito della Sinistra Europea è stata ed è molto bassa”.

“Spunti per un nuovo soggetto della sinistra” è uno dei due saggi pubblicati dal Centro per la Riforma dello Stato che voglio proporre oggi ai lettori di Readers, scegliendone i brani a mio parere più significativi, come è ormai abitudine di questo blog, per invogliarne la lettura integrale e renderne comunque accessibili i contenuti principali. L’altro, di Alfio Nicotra, Co-Presidente nazionale di “Un Ponte Per”, ha un titolo, “Fermare subito la guerra”, abbastanza esplicito per indicare qui la materia trattata.(nandocan)

da: Spunti per un nuovo soggetto della sinistra

di Alfonso Gianni – CRS

Un processo costituente

Per processo costituente si dovrebbe intendere – non vedo possibili altre interpretazioni, a meno di non cambiarne il senso – l’avvio di un confronto fra una pluralità di forze, di associazioni, di organismi nati nel sociale, di singole intellettualità entro il quale ognuno si affaccia e partecipa senza il carico di dovere difendere la propria identità. Un processo quindi che non prefigura ma costituisce nel suo sviluppo il proprio esito. Un processo costituente, appunto.

Il congresso PD: “una logica di auto-protezione del ceto politico che controlla il partito”

Al contrario nel PD si discute di un congresso con confini, modalità e ancora più contenuti a dir poco confusi. Si delinea una “road map congressuale piuttosto bizantina, o labirintica, ma se ne può cogliere facilmente la ratio: una logica di auto-protezione del ceto politico che controlla il partito”, come ha osservato acutamente Antonio Floridia. Ma non si tratta in realtà solo dello spirito di autoconservazione dei gruppi dirigenti, quanto dello spegnimento di qualunque ambizione di pensare la politica come trasformazione/rivoluzione dell’esistente.

Quello che un tempo era considerato il punto più alto della politica, viene invece derubricato allo stato delle inutili utopie. I documenti politici (anche se più d’uno e contrapposti l’un con l’altro) sono espunti dal percorso congressuale. Questi avrebbero permesso quanto meno di mettere in chiaro ipotesi e profili ideali e politici. Correndo certamente il rischio di registrare più divisioni che unità. Meglio sempre dell’ipocrisia di un matrimonio mal riuscito, come affermano del resto molti politologi.

Per dirla con Rosi Bindi

Per dirla con Rosi Bindi, il PD non solo non vuole essere un partito di sinistra, ma intende impedire ad altri di esserlo. Se non si vuole che il morto trascini il vivo, già deboluccio di suo, in uno sprofondo senza speranza, bisogna che il lutto venga elaborato fino alle sue estreme conseguenze. Un processo costituente non può aprirsi a partire dal PD come centro propulsore. Il tema di uno suo scioglimento o della divisione delle sue anime non appare quindi una mossa disperata dettata da livore, ma una strada possibile – per quanto ardita e al limite della temerarietà – se questa però si incanala in un più ampio processo costituente.

5 Stelle: un asse importante dell’opposizione al Governo Meloni

In questo quadro non può essere saltata la questione del futuro del Movimento 5 Stelle. Gli stessi flussi elettorali indicano come la componente di qualunquismo destrorso che animava parti consistenti del suo elettorato è transitata, attraverso qualche passaggio, ma in modo abbastanza rapido, verso una destra che tale apertamente si proclama. Ora riscontriamo che Giuseppe Conte occupa posizioni di sinistra, assumendo temi squisitamente sociali, come il salario minimo e il reddito di cittadinanza; intuiamo, anche sulla base di quanto si è visto in una campagna elettorale che comunque per il suo profilo generale definirei la peggiore di sempre, che il M5S possa costituire un asse portante dell’opposizione al Governo Meloni. In questo va incoraggiato e aiutato, come, se ho ben inteso, si propone di fare il neonato “Coordinamento 2050” riunitosi in assemblea a Roma lo scorso 22 ottobre.

Ma farne il nuovo perno della ricostruzione della sinistra sarebbe un tragico errore.

Come la sinistra politica non si costruisce attraverso passaggi elettorali, così la collocazione rispetto a una maggioranza di governo non riapre di per sé nuovi orizzonti politici e culturali. E qui siamo di fronte ad una formazione e a un gruppo dirigente il cui background culturale è tutt’altro che confortante.

Eppure una sinistra diffusa esiste nel paese e continua a manifestarsi. La pace, o meglio la costruzione della pace, era il centro della grande manifestazione di Roma del 5 novembre, che può anche legittimamente essere letta, senza forzature e senza vedere in ciò l’aspetto centrale, come il manifestarsi concreto di un popolo privo di referenti politici e che allo stesso tempo non nega la necessità di averli.

Ma al di là delle grandi manifestazioni, nelle città come anche nel territorio extraurbano, noi incontriamo esperienze di lotta sociale non episodica….come quello della lotta contro le alterazioni climatiche o per il diritto di avere diritti, per dirla in modo riassuntivo con una famosa citazione. Esperienze animate dalla voglia e dall’ansia del fare, dotate anche di una certa stabilità organizzativa non episodica.

La convergenza di queste realtà in movimenti di lotta con obiettivi chiari è precisamente quanto sta avvenendo e si cerca di promuovere con maggiore intensità da parte dei vari esponenti di queste esperienze, ognuna delle quali contiene preziosi elementi da indagare con la massima attenzione. In questo fermento sociale e politico non si contano solo sconfitte, ma anche vittorie seppure limitate.

È l’esistenza, malgrado tutto, di questo fermento che ci permette ancora di dire “la sinistra è morta. Viva la sinistra”. Ma se non si interviene sul terreno della costruzione, o almeno dei tentativi di farlo, di una nuova soggettività politica, la situazione è destinata al degrado e ci si abituerà alla morte della sinistra ritenendola oramai non più necessaria.

Che fare allora?

Un processo costituente, per trovare forme organizzate e confini necessari, ha bisogno di essere avviato in modo aperto e dichiarato. Ma se questo non è possibile, come nell’attuale situazione e forzarne i tempi potrebbe volere dire affossare definitivamente ogni tentativo in questa direzione, ci si può quanto meno porre il problema di crearne le precondizioni. La convergenza dei vari e non gelosi della propria esperienza movimenti di lotta su obiettivi unificanti così come l’apertura di processi unitari parziali, sono alcune di queste precondizioni.

La crisi della sinistra, e con essa della politica, e viceversa, si è palesata in tutto il suo potere distruttivo, per dirla con una battuta, quando si sono chiusi gli uffici studi e si sono moltiplicati gli uffici stampa….A volte i centri studi non si sono proprio chiusi, ma delocalizzati in luoghi che non potessero avere alcun influsso reale sui processi decisionali della politica. Fino a stabilire una separazione completa fra politica e cultura, quest’ultima sempre più costretta in ambito accademico.

Sconfiggere la separazione tra politica e cultura

Questa separazione va sconfitta. Le forze intellettuali, che sono molte e diverse per la verità, che producono analisi e delineano proposte di trasformazione di qualità, devono trovare momenti e ambiti non occasionali e capaci di comunicazione con l’esterno, per raccogliere in primo luogo le domande che emergono dal quel fermento e da quel tessuto sociale che è in cerca di una via d’uscita dalla sopraffazione in atto da parte di un pensiero che pur non potendo più dirsi unico, stabilisce in modo multiforme la propria egemonia.

Chi crede che la vittoria della destra in Italia e in altri paesi d’Europa e del mondo sia solo dovuta alla forza materiale dell’avversario di classe, e non a un continuo lavoro di conquista egemonica, non conosce la storia del nostro paese. Ma, a ben vedere, neppure quella della fase della storia mondiale, così densa e tragica, che stiamo attraversando.


Fermare subito la guerra

manifestazione per la pace del 5 novembre 2022

di Alfio Nicotra CRS

Politica e diplomazia sono state messe da parte

Dietro l’invio di armi c’è stata una opera di violenza culturale a chiunque ricordasse i principi della Carta costituzionale e financo quella dell’ONU. Insomma politica e diplomazia sono state messe da parte e si è prospettato la soluzione militare come la sola in grado di dare giustizia al popolo ucraino. Gli attacchi, il linciaggio vero e proprio, ai pacifisti, all’ANPI, alla CGIL, a Papa Francesco, sono i frutti avvelenati di una isteria bellicista che rischiano di travolgerci mettendoci in bocca cose che non abbiamo mai sostenuto.

Come la favoletta che i pacifisti volessero l’immediata resa dell’Ucraina a Putin e non invece una forte iniziativa autonoma dell’Europa per il cessate il fuoco e l’apertura di un negoziato, come avvenne nel 1975 a Helsinki, per arrivare a una intesa in grado di garantire la sicurezza comune di tutto il nostro continente, nessuno escluso.

Abbiamo visto il moribondo in elettroencefalogramma piatto della NATO riprendere non solo vitalità, ma indurre paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia, finire per essere reclutati nell’Alleanza Atlantica.

In venti anni raddoppiate le spese militari

Per non parlare del fiorire di tesi politiche tutte astratte e non basate sui dati razionali che hanno spinto i nostri Parlamenti a pianificare una corsa al riarmo e alle spese militari contrabbandandole come necessarie per la nostra sicurezza. Come se i 20 anni alle nostre spalle fossero stati due decenni di disarmo e non invece una silenziosa e devastante corsa a riempire gli arsenali come dimostrano i dati del Sipri in cui la spesa militare globale dal 2001 al 2021 è praticamente raddoppiata.

Abbiamo domandato con forza: aver raddoppiato le spese militari ha aumentato la nostra sicurezza o quella del pianeta, o siamo al contrario diventati tutti più insicuri tanto da essere arrivati sull’orlo del precipizio anche nucleare?

Per reagire alla campagna di linciaggio al pacifismo, non abbiamo esitato un secondo a salire sui pulmini delle carovane di STOP THE WAR NOW, perché i pacifisti non stanno con le mani in mano o seduti con i pop corn e una birra sul divano di casa a seguire i talk show sulla guerra. I pacifisti agiscono, stanno con le vittime della guerra anche sotto le bombe, come tutta la storia di “Un Ponte Per” e di altre organizzazioni pacifiste è lì a dimostrare.

Il cardinale Zuppi: luci accese in questa notte di tenebre

Siamo – ha scritto ai partecipanti alla carovana per Kiev il cardinale Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana – “delle luci accese in questa notte di tenebre”.

Ci è stato detto, anche in queste ore con ripetitive “lettere aperte ai pacifisti”, che la nonviolenza è un nobile sentimento ma è inapplicabile quando un nemico feroce t’invade e vuole negare la tua stessa esistenza. Attenti, ci hanno ammonito in ogni editoriale, a non fare il gioco del tiranno, a farsi utilizzare per una manciata di consensi da qualche partito politico in difficoltà. Per sostenere questo hanno bisogno di descriverci come vogliono loro: anime belle, sicuramente in buona fede, ma incapaci di tradurre in proposte concrete il nostro desiderio di pace.

Noi non abbiamo mai avuto una idea astratta o religiosa della nonviolenza, ma abbiamo capito che se non rompiamo la spirale amico/nemico l’umanità continuerà a far girare al contrario la ruota della storia.

L’interventismo democratico ha sempre provato, dalla prima Guerra del Golfo in poi, a ingentilire la guerra, a dargli motivazioni nobili, a partorire un vero e proprio ossimoro come la cosiddetta “guerra umanitaria”. Questa costruzione ideologica ha bisogno della passivizzazione delle persone e non sopporta il prendere parola e il protagonismo del punto di vista pacifista. La stampa appare oggi desolatamente ridotta a una protesi militare, il giornalismo embedded dilaga ovunque.

Sotto le bombe anche noi pacifisti

Ci dicono che loro in Ucraina ci sono stati, hanno visto Bucha e le altre stragi, le scuole e gli ospedali distrutti e per questo si sentono legittimati a chiedere che la guerra continui. Ma sotto le bombe non ci sono stati solo loro, ma anche noi pacifisti. È dal nostro mondo che è arrivata l’accoglienza per centinaia di migliaia di rifugiati ucraini che, a differenza del Governo, non consideriamo “un carico residuale” ma una umanità che deve essere sostenuta e accolta. Basterebbe ossigenare il cervello e aprire lo sguardo sul mondo per vedere nei centomila di Roma non degli “utili idioti” ma la proposta di una politica estera altra per il nostro Paese e per quelli dell’Unione Europea.

Il cessate il fuoco subito, l’avviare finalmente una conferenza internazionale di pace, non appartiene alla sfera del pacifismo etico o di un astratto desiderio di pace. Esso s’invera nell’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite che non stabilisce solo il sacrosanto diritto all’autotutela di un paese sovrano aggredito, ma subito dopo impone alla comunità internazionale di agire per ristabilire la pace e porre fine al conflitto con gli strumenti del negoziato e della diplomazia.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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