Reader’s – 10 ottobre 2022. Rassegna web

Se la cultura è un seme sovversivo

Quando, come ancora oggi, con il concorso degli avvenimenti il confronto delle opinioni e dei pregiudizi mostra di degenerare nello scontro violento tra le persone e tra i popoli, allora si rende più necessario che mai continuare a pensare, come invitava Antonio Cipriani nel suo contributo domenicale su Remocontro, che “coltivare cultura sia il segreto per accendere il dubbio. Per far crescere quel sale della democrazia che è il senso critico; per dare a tutti noi cittadini la possibilità di decifrare le cose che accadono, avendo abbastanza elementi di riflessione per capire quello che è giusto e quello che è ingiusto, o per lo meno quello che conviene e che non conviene”.

di Antonio Cipriani

Continuiamo a batterci, pur sapendo che tutto quello che è scritto nella frase precedente ha poca utilità nella società perché non è di aiuto ad alcun potere. Anzi, potremmo dire, coltivare cultura è un atto sovversivo di natura, un modo di fare che non porta alcun vantaggio rispetto agli strumenti che regolano il funzionamento della società, quindi degli affari e delle ingiustizie che ormai nella società sembrano invisibili anche quando sono così drammatiche e palesi da urlare la vergogna che esprimono. 

Già, ma cerchiamo di fare chiarezza: quando pronunciamo la parola cultura che cosa intendiamo? Perché una cosa è il processo di crescita delle conoscenze, della sapienza, del bene comune, del buon vivere in una comunità che abita un territorio. Una cosa è la spettacolarizzazione delle cose mediatiche e scintillanti a dare l’impressione che la cultura sia quella cosa per circoli elitari inaccessibili, per pochi addetti ai lavori che regolano il mercato (parola chiave). Oppure, altra faccia della medaglia, è quell’intrattenimento un po’ così che anima la società dello spettacolo, dove tutto è comunicazione e superficie della realtà, e niente è profondità, pensiero, cognizione delle cause per poter cogliere gli effetti. Un luogo colonizzato dove regnano la paraculaggine e l’amichettismo come basi culturali di quella che sembra meritocrazia.

La risposta è abbastanza chiara: l’idea dominante di cultura appartiene a quest’ultima categoria, quella delle due facce della medaglia che perfettamente si connettono con i valori che contano. Quindi piangiamo sull’ignoranza galoppante, sull’analfabetismo di ritorno, sui populismi scemi, sulle credenze più cretine che prendono piede e minano la democrazia. Però accettiamo con indifferenza che la cultura sia quella roba in mano ai mercanti o quel fenomeno mediatico che discende dall’alto a pioggia sui cittadini. In ambedue i casi niente a che vedere con la cura e la passione necessaria per coltivare cultura fertile sui territori, nella vita, nella società. Per costruire modelli sani di partecipazione civile attiva; per alzarsi dai salottini mediatici e fare del pensiero un’azione.

L’assuefazione alla bruttezza è il vero problema

Il mondo è così e va affrontato con le armi di quest’epoca, mi dice una giovane amica e io già penso al fatto che sia l’assuefazione alla bruttezza il vero problema. Ma poi mi accorgo che è una ventenne che si batte quotidianamente contro l’ombra antidemocratica della stupidità, che è piena di idee e non intende minimamente accettare i meccanismi di obbedienza indotti dalla generazione precedente. Altro che assuefazione. Quindi sorrido. 

Troveremo altre strade. Saremo seme e vento che lo sparge. 


Il Sabato (il Vangelo) è fatto per l’uomo

di Raniero Lavalle

Domenica scorsa (2 ottobre ndr) il Papa invece di spiegare il Vangelo all’Angelus, come fa da nove anni e facevano gli altri Papi prima di lui, si è messo in gioco per la pace nel mondo, rinnovando dopo duemila anni lo scandalo, lui capo del Sabato, secondo cui il Sabato (il Vangelo) è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Vangelo.

Porre fine col negoziato alla guerra in corso

Ha supplicato Putin di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte, ha fatto appello a Zelensky perché si apra al dialogo, cioè al negoziato, su serie proposte di pace, ha chiesto con insistenza ai protagonisti della vita internazionale, cioè all’ONU all’Unione Europea e alla NATO, e ai responsabili politici delle Nazioni, cioè a Biden a Ursula e a Stoltenberg, di porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation.

Rimettere in gioco il Donbass e l’Ucraina alla NATO

Egli non ha chiesto a uno solo di fermare la spirale della guerra, impossibile a uno solo, ma di farlo mediante un negoziato tra “i protagonisti”. Lasciando stare le sale di tortura, il furto dei denti d’oro ai morti, il piano perverso della conquista dell’Ucraina, della Polonia e, con effetto domino, di tutta l’Europa e il ristabilimento dell’Impero di Pietro il Grande, il negoziato dovrebbe farsi sul vero contenzioso che è all’origine della guerra, cioè rimettendo in gioco nonostante le annessioni lo status delle quattro regioni del Donbass e la consegna dell’Ucraina alla NATO.

Putin ha risposto col silenzio, Zelensky ha risposto emanando una legge che proibisce il negoziato con la Russia e chiedendo altre armi, gli altri protagonisti hanno risposto aspettandosi il ricorso della Russia all’arma atomica “tattica”, e preparandosi a rispondere con le armi nucleari “strategiche”.

…..e non l’uomo al proprio Vangelo

Sapranno ora i capi delle Nazioni, i padroni delle loro opinioni pubbliche, gli opposti promotori delle manifestazioni “per la pace”, Micromega, i partiti, gli associati nelle alleanze di governo e sapremo anche noi sacrificare ciascuno il proprio Vangelo all’uomo, e non l’uomo al proprio Vangelo?


epa10231185 Ukrainian civilians take part in a training to learn military skills at a shooting range in Lviv, Ukraine, 08 October 2022. Russian troops on 24 February entered Ukrainian territory, starting a conflict that has provoked destruction and a humanitarian crisis. EPA/MYKOLA TYS

I “se” e i “ma”

di Massimo Marnetto

Rivoglio i se e i ma. Cioè il ragionamento. Soprattutto quando si parla di pace. Che – senza giustizia – è resa, sottomissione al più forte e rinforzo dell’aggressione come metodo di espansione. Quindi, una manifestazione per la pace deve avere come oggetto i responsabili e le cause che la turbano*, altrimenti la vaghezza della formula ”contro tutte le guerre” la trasforma in un rito per scaricare ansia collettiva da rischio bellico (e atomico). 

Non è vero che tutte le guerre sono sbagliate: quella di resistenza all’invasore è legittima. Certo, la pace è un edificio fragile, perché poggia sulla giustizia. Ed è esposta all’usura dell’orgoglio di presunti primati; alla pressione di povertà che cercano rivalsa; all’infiltrazione di vittimismo nazionalista infiammabile. Per questo, ha bisogno di continue riparazioni con l’uso di intelligenza etica. Manifestare per la pace è utile, ma senza frullare aggrediti e aggressori. Insomma, con i se e con i ma.

*Giusto. MA l’indicazione dei RESPONSABILI dipende anche dal giudizio sulle CAUSE CHE LA TURBANO. Difficile uscirne senza accettare il criterio che la mia sicurezza vale quella del mio avversario o supposto tale (nandocan)


“Donna, vita, libertà”

di Ida Dominijanni (da Facebook)

In Iran il movimento contro il regime si sta allargando. Ieri piazze piene in tutto il paese. Lo slogan femminista, “donna, vita, libertà”, è diventato egemone e aggrega le lotte di donne, uomini e minoranze oppresse dal regime patriarcal-islamista. Università in prima linea. Si parla ormai apertamente di rivoluzione; lo stato reagisce violentemente, le vittime della violenza della polizia crescono.

E’ la fine di un ciclo cominciato nel ’79, che anche in Occidente ha avuto conseguenze ben più importanti di quanto noi eurocentrici siamo soliti considerare. E mentre qui ci gingilliamo con le prime donne al potere, lì il femminismo ritrova la sua vocazione sovversiva.


A 100 anni dalla marcia su Roma, svelati i file segreti dei servizi inglesi su Mussolini e il fascismo

di Rossella Guadagnini

“Mussolini è in assoluto il personaggio italiano più celebre del mondo. Più di Cavour, Garibaldi, Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi”. Che altro dire che non sia già detto? “Noi abbiamo voluto indagare un aspetto ancora sconosciuto del duce: le relazioni che ha intrattenuto coi servizi segreti inglesi”. Lo spiegano due studiosi, Mario José Cereghino, esperto di archivi anglosassoni, e Giovanni Fasanella, giornalista d’inchiesta, autori di “Nero di Londra. Da Caporetto alla Marcia su Roma: come l’Intelligence militare britannica creò il fascista Mussolini”.

Il saggio, che rende visibile una trama sorprendente della storia di quegli anni, è in uscita domani per l’editore Chiarelettere, con cui i due ricercatori hanno già pubblicato insieme “Il Golpe inglese” (2011), “Colonia Italia” (2015), più volte ristampati, e -di recente- “Il Libro nero della Repubblica italiana” (2021). A un secolo dagli eventi che hanno stravolto per i venti anni a seguire la storia d’Italia e dell’Europa intera, infatti, questo volume getta una nuova luce su una serie di risvolti finora oscuri, relativi all’ascesa al potere mussoliniana e all’affermazione del fascismo, fornendo -grazie a una documentazione approfondita- particolari rimasti ignoti.

Un’inchiesta che, per la forza delle rivelazioni sul sostegno dell’Intelligence e dei conservatori britannici, a Benito Mussolini, apre nuovi orizzonti circa i legami che hanno unito i due Paesi.

“Fin dalla Prima Guerra mondiale -afferma Fasanella- i servizi militari britannici danno vita a un piano segretissimo, chiamato ‘The Project’, per il controllo totale dell’Italia a partire dall’autunno del 1917, subito dopo la catastrofe di Caporetto. Artefice di quell’iniziativa eversiva è il tenente colonnello Sir Samuel Hoare, capo del Directorate of Military Intelligence (Dmi) nel nostro Paese”.

Le responsabilità dei conservatori inglesi e della Corona britannica

La sua è una ‘missione impossibile’, ossia “impedire che l’Italia esca dalla guerra contro gli imperi centrali -ricorda l’autore- e, al contempo, porre le premesse di un sistema occulto, basato su gruppi di potere trasversali, fedeli alla Corona dei Windsor, garantendo così gli interessi vitali dell’Impero britannico nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente”.

“Con l’assenso di Londra – prosegue il giornalista – Sir Hoare crea l’archetipo di un movimento politico e paramilitare che sfocia ben presto nei Fasci italiani di combattimento, guidati da Benito Mussolini. È il prototipo della ‘strategia della tensione’ come modello terroristico”.

Finanziato dal Secret Service sin dall’inizio del 1918, con il nome in codice di “The Count”, (Il conteggio ndr) il futuro duce conquista il potere nell’ottobre 1922 e instaura un regime autoritario di massa che influenzerà lo scenario internazionale nel corso del Novecento”.

“Ed è proprio grazie alle carte dell’archivio personale di Sir Samuel Hoare – declassificate nel 2001 e conservate nella biblioteca dell’Università di Cambridge in Inghilterra -precisa Cereghino- che abbiamo potuto ricostruire in ‘Nero di Londra‘ questa incredibile e inquietante spy story, che evidenzia per la prima volta le connessioni segrete tra Mussolini e i servizi d’Intelligence di Sua Maestà, oltre alle gravi responsabilità dell’establishment conservatore del Regno Unito”.

Giacomo Matteotti, dopo il delitto le sue carte introvabili ancora oggi

Una vicenda parecchio imbarazzante. “Soprattutto perché -sottolineano ancora Cereghino e Fasanella- offusca l’epica costruita dalla propaganda inglese, a partire dalla Seconda Guerra mondiale, basata sulla rappresentazione dell’Inghilterra come unico, inflessibile baluardo contro il nazifascismo e le potenze dell’Asse”, ridimensionando tra l’altro non di poco la grandezza della figura di Churchill. E inoltre perché il ‘modello Hoare’ “ha fatto scuola in altre epoche, temporalmente più vicine a noi e in contesti del tutto diversi””.

C’è una parte – per noi italiani – particolarmente avvincente, sulla scomparsa della borsa di Giacomo Matteotti, che in qualche modo ricorda la scomparsa della Agenda Rossa del giudice Paolo Borsellino. Conteneva documenti ancora irreperibili, a 100 anni da un delitto politico tra i più efferati. “E’ innegabile che quelle carte siano ancora custodite negli archivi segreti della Naval Intelligence Division di Londra e in quelli del Federal Bureau of Investigation e del Dipartimento di Stato a Washington -affermano i ricercatori- La loro scomparsa in seguito al sequestro Matteotti consente a Mussolini di costruire il suo regime ventennale e ai conservatori inglesi di occultare le loro responsabilità”.

La profezia di George Orwell

Adesso ha un senso compiuto la profezia dello scrittore George Orwell contenuta nella sua recensione della ‘piece’ “The Trial of Mussolini” pubblicata dalla rivista britannica “Tribune” nel 1943. Il grande autore augura “a Churchill e ai politici conservatori della sua cerchia (e dunque anche a Sir Samuel Hoare) che il dittatore italiano tiri rapidamente le cuoia, magari per mano degli stessi italiani”. Altrimenti, se il duce fosse stato incarcerato in attesa di giudizio, si sarebbe trasformato in un ‘eroe’ molto più difficile da sconfiggere. “Una profezia -chiosano i due studiosi- che si sarebbe avverata fatalmente due anni più tardi (il 28 aprile del 1945 ndr) sulle rive del Lago di Como”.

www.adnkronos.com 03-Ottobre-2022


  • Sulla valutazione dei magistrati
    Si vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
  • ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric Salerno
    Altri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
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