Reader’s – 1 settembre 2022 rassegna web

Settembre

Settembre andiamo, è tempo di lasciare

le noiose serate col gelato

le docce semifredde in riva al mare

i libri gialli che ho solo sfogliato

la birra con la pizza da asportare

il pranzo alle formiche in mezzo al prato

la guerra persa contro le zanzare

la discoteca col volume alzato

la coda a passo d’uomo per viaggiare

il conto spese sempre più salato.

Pensando in versi – Epigrammi, Settembre 2006


Cari amici, bentornati dalle vacanze a quanti di voi hanno potuto godersele. Per me quest’anno riposo forzato in casa (viva l’aria condizionata) per una seconda ernia al disco (L3-L4) che dopo un’intervento chirurgico si è aggiunta ai postumi della prima (L4-L5). Pazienza, tra un analgesico e una fisioterapia proverò a distrarmi con la ripresa della mia breve personalissima rassegna web, contando spesso (ma non solo) sugli articoli di amici e colleghi di prim’ordine. La nota quotidiana di Massimo Marnetto si occupa oggi di “voto utile” e astensionismo. Dall’America latina di Livio Zanotti un rapporto su Cile e Brasile alla vigilia di elezioni decisive. E da Olnews (Antonello Tomanelli) l’ “Addio a Gorbaciov”. Buona lettura (nandocan).


Ombra

di Massimo Marnetto

Il principio del ”voto utile” restringe la partita tra i prime due partiti. Per gli altri, c’è la speranza dei pentiti dell’astensionismo. Che – con il loro improvviso ritorno al voto – possano ribaltare le previsioni. Sono tanti, è vero, ma questo elettorato ombra ha parecchi motivi per non votare.

La povertà: chi non ha soldi per vivere non pensa alla politica oppresso da affitto arretrato, bollette scadute e aumenti scorsoi. I giovani, che hanno prospettive di precariato, sottoccupazione o espatrio. Infine, quelli che ”di politica non me ne intendo” per individualismo (hanno i loro affari) o analfabetismo (non si informano).

Insomma, il grosso dell’astensionismo si ferma al pre-politico e per i propri bisogni conta su volontariato (aiuti), conoscenze (opportunità), arroccamento (evasione fiscale). La via per costruire un equilibrato sistema di diritti e doveri tramite la votazione di partiti, a quasi il 40% degli aventi diritto non sembra credibile. Così, chi vota deve farsi carico anche di questi apolidi civili. Una responsabilità doppia per andare alle urne.


Cile e Brasile di fronte all’imprevedibilità elettorale

di Livio Zanotti, 1 settembre 2022

Jair Bolsonaro, Lula da Silva

Due date significative

Domenica 4 settembre, domenica 2 ottobre. Sono date specialmente significative, ormai vicinissime, segnate da precedenti storici clamorosi, e giunte adesso alla prova del fuoco. Il prossimo 4 settembre (lo stesso giorno in cui mezzo secolo addietro Salvador Allende pronunciò il suo primo discorso da Presidente: ”Si apre un nuovo cammino di libertà e progresso…”. Nessuno prevedeva la tragedia.), 15 milioni di cileni dovranno ratificare o respingere la nuova Costituzione. La prima scaturita da un processo autenticamente popolare, formulata per sostituire quella imposta dalla dittatura militare di Pinochet. 

Meno di un mese dopo, il 2 ottobre, 150 milioni di brasiliani (un elettorato gigantesco, in occidente secondo solo a quello degli Stati Uniti), sono chiamati a rinnovare capo dello stato e Parlamento, che i vent’anni della più prolungata dittatura latino-americana (1964-1984) ed esasperati personalismi hanno frantumato in 30 partiti. Sarà anche la verifica popolare degli ultimi, tormentatissimi 6 anni di vita istituzionale dell’immenso paese sudamericano.

Il golpe di Jair Bolsonaro

E’ infatti dalla frattura istituzionale, giudiziaria ed essenzialmente politica provocata in quest’ultimo periodo che – nella sorpresa generale -, lo sconosciuto deputato ed ex capitano dell’esercito Jair Bolsonaro è salito al vertice dello stato. Occupandolo in fretta e furia con ben 400 esponenti delle Forze Armate, distribuiti tra governo, alta burocrazia e grandi aziende pubbliche. Per renderla possibile era stato necessario destituire prima la presidente eletta Dilma Rousseff (accusata di aver falsato dati dell’economia per migliorare l’immagine della sua seconda presidenza, 2014-2016); poi neutralizzare la presenza ancora preminente di Lula da Silva, con un’incerta incriminazione di arricchimento personale, l’incarcerazione illegale e una incredibile condanna a 17 anni. Da cui soltanto a giochi fatti, dopo quasi 3 anni, nel marzo 2021, è stato scagionato totalmente, riabilitato e oggi è il candidato largamente favorito nei sondaggi (oscilla tra 7 e 15 punti di vantaggio).

Comunicazione drogata

E’ sui sondaggi che fino al momento del voto si destreggia la politica. Ed è una partita contraddittoria, ricca di colpi di scena. Poiché giocata sui riflessi di una pubblica opinione incitata ossessivamente a vivere nella quotidiana ripetitività di un ininterrotto presente. A cui reagisce con improvvisi mutamenti, per non dire voltafaccia. Il cambiamento come costante, la costanza come variabile indipendente. Evitiamo di scomodare Zygmunt Bauman e la sua teoria sulla società liquida. Il terremoto dei valori comuni di riferimento, oggi provocato dal prevalere dell’apparire sull’essere come fattore di un rinnovato bisogno identitario, avviene ad ogni passaggio d’epoca. Ma come evitare di ragionare sulle fake-news che sono solo l’aspetto più contundente di una comunicazione drogata la cui sostanziale impunibilità è garantita dalla velocità delle tecnologie di cui si serve? Impossibile, se non al prezzo di perdere completamente di vista la realtà.

Lula da Silva in testa nei sondaggi

Lula rimane a tutt’oggi in testa nei sondaggi, ma in 17 mesi il vantaggio che gli viene accreditato si è ridotto da 20 a 7 punti, stando al più pessimista degli ultimi rilevamenti. Tanto lui quanto Bolsonaro non hanno cambiato i rispettivi programmi e promesse. Ma l’attuale presidente non ha limiti nei finanziamenti della propria campagna elettorale, perché esercita un’ovvia influenza sull’economia di stato e ha dalla sua la grande industria privata. Sommerge la rete con ondate di messaggi in cui accusa l’avversario di ogni nefandezza possibile e immaginabile. La gran parte delle chiese evangeliche se ne fanno portavoce: l’ultima è che se Lula vincesse, farebbe distribuire nelle scuole un sex-kit per insegnare ai bambini come si diventa gay. Mentre se Lula conferma semplicemente di voler preservare l’Amazzonia minacciata dalle iniziative di sfruttamento agricolo e minerario intensivo di Bolsonaro, la borsa di San Paolo subisce un tonfo. Il Brasile è il paese americano più dipendente da Internet.

L’approvazione della nuova Charta magna cilena appare problematica

Meno vulnerabile, neppure il Cile sfugge tuttavia alle insidie della comunicazione digitale, che si sommano alle difficoltà del governo Boric a gestire cambiamenti epocali come quello dei rapporti incancreniti da secoli di mancati riconoscimenti dello stato alla minoranza etnica dei nativi mapuches, tra i quali non mancano ormai i facinorosi. Con il risultato che ritenuta fino a tre mesi addietro largamente scontata, in considerazione degli straordinari due anni di attivo sostegno manifestato dalla maggioranza della popolazione, giunti alla vigilia del voto, l’approvazione della nuova Charta magna cilena appare problematica. E’ una sorpresa a metà, in quanto i grandi interessi tradizionali dell’oligarchia cilena hanno subìto il processo di rinnovamento costituzionale senza mai davvero condividerlo. E al quale anche certi gruppi di vertice del vecchio centro-sinistra – della Concertacíon, come fu battezzata in Cile- non risparmiano critiche. 

Apocalissi e resurrezioni annunciate sul web

Non è stata sufficiente a frenarle neppure la disponibilità del governo a prolungare ulteriormente il periodo costituente, varando prontamente un provvedimento legislativo per rivederla in Parlamento. Del resto -era facile prevederlo- le ben 167 pagine redatte in linguaggio inevitabilmente giuridico dalla Convenzione eletta dal voto popolare non sono certo risultate un best-seller. Pochi in realtà hanno letto l’intero testo con la necessaria attenzione. Incomparabilmente più numerosi sono i commenti che affollano il web, dove viene annunciato di tutto, preferibilmente apocalissi e resurrezioni, per timore a passare altrimenti inosservati. Sul quotidiano spagnolo El Pais, il noto scrittore argentino-cileno-statunitense Ariel Dorfman, professore emerito all’università di Duke, nella Carolina del Nord, ha difeso con passione il carattere democratico, nobilmente inclusivo della nuova Costituzione cilena. Riservando un amaro sarcasmo alle fake-news che le attribuiscono volontà e potere di cancellare la proprietà privata e restaurare il comunismo.


Addio a Mikhail Gorbaciov, il Russo che si fidò degli USA

di Antonello Tomanelli

Se oggi girassimo per Mosca chiedendo cosa provano i Russi per la morte di Mikhail Gorbaciov, quasi tutti risponderebbero con indifferenza. Non abituati per cultura ad esprimere gioia per la morte di chicchessia, i Russi sanno bene che se sono arrivati al punto in cui sono oggi, con la paura di una guerra atomica e con addosso l’odio del mondo occidentale, almeno in parte lo si deve proprio a lui.

Glasnost e Perestroika. Parole magiche che fecero breccia nel cuore dei Russi, stanchi di un regime che vedevano ormai come un vecchio che cerca di camminare sugli scogli. Parole d’ordine che gli USA strumentalizzarono nel modo più ipocrita, ponendo le basi di quella politica espansionistica che porterà la Nato ai confini con la Russia.

 A metà degli anni ’80 tutto faceva pensare ad un cambiamento di regime a Mosca e ad un avvicinamento tra le due superpotenze, dopo che Gorbaciov inaugurò la svolta dal pulpito del Congresso del PCUS. Persino la Hollywood del presidente Reagan spingeva in tal senso, chiedendo a Sylvester Stallone di pronunciare un discorso di pace sul ring di Mosca, dopo aver battuto Ivan Drago che gli aveva appena giurato di “spiezzarlo” in due, osannato dal pubblico moscovita e applaudito da un attore sugli spalti straordinariamente somigliante a Mikhail Gorbaciov.

Un errore fatale essersi fidato degli americani

In effetti l’Unione Sovietica di allora somigliava proprio a Ivan Drago. Un colosso senza tecnica. Washington, che accolse con ostentata soddisfazione la svolta impressa da Gorbaciov, offrì a Mosca amicizia, insieme ad un futuro prospero di collaborazione per la Pace nel mondo. Gorbaciov gli credette. Fu un errore fatale, che ancora oggi il popolo russo gli rimprovera: essersi fidato degli americani.

Fino al punto che quando nel 1990, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, James Baker, il fidatissimo segretario di Stato di Gorge W. Bush, giurò a Gorbaciov che la Nato non si sarebbe allargata ad est di un solo pollice, Gorbaciov gli credette ancora, dando il benestare ad una rapida riunificazione della Germania.

Ordinò il ritiro dei 300mila soldati sovietici dalla Germania Est

 Ma Baker azzardò: caro Mikhail, ma se la Germania deve riunificarsi, che ci stanno a fare quei 300 mila soldati sovietici in Germania Est? Puoi cortesemente riportarteli in Patria? Gorbaciov obbedì e ordinò il ritiro dei 300 mila soldati dalla Germania Est. Tra questi un certo Vladimir Putin, giovane funzionario del Kgb di stanza a Dresda, che probabilmente subodorò l’imbroglio.

 Pochi mesi dopo Gorbaciov cadde in disgrazia. Al potere salì Eltsin, un presidente acclamato dal popolo, ma un debole che potevi comprare con una cassa di pregiato whisky. La Russia sfiorò più volte il default, mentre la Nato pian piano si fagocitava tutto l’ex Patto di Varsavia e anche qualcosa di più, fino ad annettere persino le Repubbliche Baltiche.

Il resto è storia di oggi.

Non ci saranno milioni di persone ai suoi funerali.


  • Sulla valutazione dei magistrati
    Si vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
  • ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric Salerno
    Altri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
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