Reader’s – 1 marzo 2023

Rassegna web di nandocan magazine

Per un PD di sinistra

Anche io, come tanti altri, non penso che la prima preoccupazione di Elly Schlein debba essere quella di “evitare delle scissioni all’interno dell’attuale PD”. Ma neppure, aggiungo, quella di favorirle con un dogmatismo ideologico che nella storia della sinistra ha spesso condotto alla sconfitta e all’irrilevanza. Lo scarso ascendente degli attuali “cespugli” sull’elettorato lo conferma. D’altronde, la scissione c’è giá stata e, come disse una volta Bersani, “chi vuole Macron vada con Macron, Chi vuole Chavez vada con Chavez, ma quello che serve è una sinistra popolare, che parli il linguggio del popolo e recuperi la questione sociale”. La “quinta colonna” lasciata da Renzi e Calenda ha già dove andare.

La chiave giusta del confronto sia interno che esterno (le alleanze) è quella di dialogare prima e misurarsi poi sulle cose da fare, a cominciare da quelle più qualificanti della sinistra di sempre: libertà, uguaglianza, fraternità ieri; lotta solidale alle disuguaglianze, giustizia sociale, fiscale e ambientale oggi. E prima ancora, premessa e condizione di tutto, il rifiuto delle logiche di dominio, la pace e il disarmo.

La squadra

Poi, se è vero (come è vero) che nessuno ha in tasca la verità, la competizione tra le idee che dividono può continuare ad essere utile finché non diventa quasi ossessiva come nella cultura americana di importazione, ancora oggi continuamente alimentata dai media. Ma non dovrebbe mai escludere il dialogo, tantomeno una collaborazione su quelle che uniscono. E fa bene Elly a insistere sul lavoro di “squadra”.

Basta con i personalismi

Basta con i personalismi, diventati il pane quotidiano dei talk show televisivi, dove i concetti sbiadiscono nel tifo sportivo per questo o quel leader o presunto tale. Dove la banalità imposta dall’auditel sembra fatta apposta per impedire che qualcuno possa cambiare parere di fronte a nuovi argomenti. Sempre o quasi gli stessi personaggi, le stesse domande e le stesse risposte. Mentre la presunzione coltivata dai like sui social media alimenta il tanto temuto analfabetismo di ritorno.

Rivoluzione culturale

Ecco perché quella per la costruzione di una nuova sinistra deve necessariamente accompagnarsi a una rivoluzione culturale. La vittoria di Schlein alle primarie del Pd può rappresentarne il segnale di avvio, ma di certo non basta senza una vasta mobilitazione degli iscritti o simpatizzanti. Dove il contributo di idee e di programmi proceda dal basso verso l’alto e viceversa, con la parola e con il voto. In questo soprattutto la sinistra si distingue dalla destra. Guai se dal partito dell’Io si ritornasse ai capi corrente. Con buona pace dei media, quel tempo è finito o sarà finito il PD. (nandocan)


Declinazione

di Massimo Marnetto

Omissione di soccorso nel naufragio di Cutro:

Io ho segnalato

Tu hai sottovalutato 

Egli ha ignorato 

Noi ci abbiamo provato 

Voi non siete salpati 

Essi sono annegati


Naufragio di Crotone. ‘Il governo sul luogo del relitto’

Tommaso Di Francesco* su Remocontro

Sessantasei vite perdute in un mare d’acqua e burocrazia, e regolamenti, e segnalazioni… Ci sono state oppure no delle lacune nella gestione dei soccorsi per quella povera gente in balia delle onde? L’ordine di salvataggio mai partito. Frontex non segnala criticità alla Guardia costiera. Nessuno dalla barca chiede aiuto. Così escono i mezzi della Finanza ma non le motovedette del salvataggio
Oppure, come sta emergendo, il punto debole è forse stato il tentare di raggiungerla come se si trattasse di una operazione di polizia piuttosto che di soccorso. Più un controllo per traffico di migranti che una corsa per aiutarli a raggiungere la riva. Tommaso Di Francesco, condirettore del Manifesto, di nuovo su Remocontro.

Contro ogni guerra a favore di ogni salvezza

Da decenni scriviamo contro ogni guerra e, di conseguenza, a favore di ogni salvezza e accoglimento per chi dalla guerra fugge in cerca di una nuova possibilità di vita. Così, di fronte all’«ultima» strage a mare di migranti viviamo uno sconforto di rabbia e impotenza che ci fa dire che, ormai, scrivere è solo epigrafe. Di fronte all’evidenza delle responsabilità, sarebbe bastato un silenzio pietoso per gridare l’umanità sepolta nei cimiteri marini del Mediterraneo.

Un governo che straparla

Invece no. Stavolta c’è un governo che straparla, giustifica e colpevolizza senza vergogna le vittime, e così facendo è come se rivendicasse, come un monito necessario, la strage di Cutro di persone annegate a cento metri dalla riva, dove il numero dei morti senza nome cresce di ora in ora.

Non strumentalizzate voi!

«Non strumentalizzate questi morti» ha gridato nervosa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: possibile che non comprenda che con queste parole tradisce un malcelato senso di colpa? E poi c’è il barbaro in giacca e cravatta Piantedosi, che ripete convinto la sua litania funebre anche sul luogo del relitto: «L’unica cosa che va affermata è che non devono partire». Ma da dove partono e perché gli uomini, le donne e i bambini naufragati a Cutro? Sono partiti da Smirne, da quella Turchia riempita di miliardi di euro proprio perché bloccasse gli arrivi in Europa di centinaia di migliaia di esseri umani.

Cimitero Mediterraneo vergogna d’Europa

Spesso intrappolati senza scampo nell’inferno della rotta balcanica; dalla Turchia dell’atlantico Erdogan ora alle prese con il disastro del terremoto e della marea umana di sfollati interni. Ma queste persone, non «carichi residuali dove l’essere umano è equiparato a merce» ha ricordato in queste ore don Luigi Ciotti, fuggono anche dalla Libia dove un mese fa la presidente Meloni è andata a promettere la chiacchiera di un «piano Mattei», ma in sostanza ad incrementare lo scambio di mercato tra un nuovo accordo sul gas e nuovi aiuti e cinque motovedette alla «guardia costiera» – le milizie libiche – per fermare «gli imbarchi clandestini, confermando la Libia come posto sicuro» quando per le Nazioni unite è il luogo del martirio dei migranti, raccolti in galere e campi di concentramento per l’avvio di un sistema concentrazionario che si vorrebbe esteso a tutta l’Africa. Dove abbiamo esternalizzato le frontiere di una Europa che si considera ormai come fortezza.

Le migrazioni dalle troppe guerre

E partono perché questa è la natura delle migrazioni epocali che viviamo: fuggono dalle troppe guerre che spesso abbiamo provocato noi, come in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, fuggono dalla miseria – quanto è ipocrita la distinzione dominante tra «profugo» «migrante economico»– e dalle diseguaglianze, aspetti che ci riguardano perché spesso provengono da paesi, come quelli africani, poveri ma ricchissimi di materie prime che noi deprediamo per il nostro modello di sviluppo, fuggono dalle nuove devastazioni climatiche e ambientali dei loro territori. Ma per Piantedosi «non devono partire, ma aspettare in sicurezza l’arrivo delle istituzioni».

La menzogna del ministro

Quali, come, dove, quando? La menzogna del ministro si fa soccorrere dalla citazione dei «corridoi umanitari», certo positivi ma una goccia nel mare rispetto alle necessità; solo uno Stato e una unione di Stati come l’Europa, potrebbe costruire una legale sicurezza istituzionale che non c’è – solo l’esperienza di Mare Nostrum è stata una alternativa, purtroppo cancellata.

Complici di una tragedia

Il governo Meloni è complice di questa tragedia. Ha approvato una legge che impedisce l’operatività delle Ong di soccorso in mare con un boicottaggio che rischia di preparare nuove tragedie e che – hai voglia a gridare al trafficante – apre la strada proprio alla criminalità organizzata che lucra sulla disperazione dei migranti. Una legge scellerata, fondata sull’ideologia della «difesa dei confini nazionali», sovranista e nazionalista, che si schiera apertamente con i provvedimenti sui migranti delle democrature dell’est come Ungheria e Polonia, che alla fine è diventata una sorta di polizza assicurativa di ricatto per la residua Unione europea, sempre divisa sulla redistribuzione dei migranti in arrivo.

Nuovi muri a tanti camposanti

Adesso Meloni e Piantedosi invocano l’intervento immediato dell’Europa, ma solo due settimane fa tornavano confortati dall’ultimo Consiglio europeo. Che ha approvato una visione che potremmo definire quella di un ‘Minniti collettivo’: costruire nuovi muri, finanziare iniziative di sorveglianza aerea e rafforzare il controllo delle frontiere, con acclamazione e fondi per i Paesi che lo faranno, più esternalizzazione delle frontiere (riecco Libia, Egitto, Tunisia) come pure delle procedure d’asilo e, soprattutto, grande spazio ai rimpatri, sia dai paesi Ue che da paesi di transito verso altri paesi terzi e verso i paesi di origine, con un’ulteriore arma di ricatto, come hanno denunciato le associazioni del “Tavolo Asilo e Immigrazioni”: la condizionalità dei fondi per lo sviluppo e delle politiche di commercio, cioè niente fondi a chi non rimpatria. Una visione europea che non impedirà alle persone di rischiare la vita in cerca di sicurezza in Europa, mettendole ancor più alla mercé dei trafficanti di esseri umani.

Profughi di serie A e quelli che possono affogare

Siamo ad un doppio fallimento dell’Europa che ora mette i muri pure alla solidarietà, usando un doppio standard tra profughi: ucraini di serie A e tutti gli altri ricacciati nel limbo. Siamo al ‘Minniti collettivo’: il ministro neocoloniale del Pd che nel 2017 con l’esternalizzazione delle frontiere e i fondi alle milizie libiche voleva fermare le migrazioni per impedire alla destra di strumentalizzarle e così mettere a rischio la democrazia. Bene: le stragi in mare continuano, fermiamo «virtuosamente» la disperazione dei migranti violando i diritti umani, ma la democrazia non è salva e la destra estrema è arrivata al governo.

*Condirettore del Manifesto


Israele-Netanyahu verso la pena di morte per terrorismo: quello palestinese

Da Remocontro

Itamar Ben Gvir lo aveva promesso appena nominato ministro della sicurezza nazionale, due mesi fa: tra le priorità del suo dicastero la reintroduzione della pena di morte in Israele per i palestinesi accusati di terrorismo. 
Domenica la promessa si è concretizzata nel primo passo della futura legge: il comitato ministeriale sulla legislazione ha approvato un disegno di legge che istituisce la pena capitale per i terroristi.
Le condanne dal mondo: «Crudeltà aggravata dalla discriminazione su base etnica»

‘Tanto peggio tanto meglio’

Una catena ininterrotta di provocazioni e cercare la reazione necessariamente violenta da reprimere con violenza decuplicata da parte di uno Stato super armato e senza ritrosie nell’usare la violenza. Ora il governo Netanyahu approva la proposta di legge, promessa elettorale dell’ultradestra, per reintrodurre la pena di morte in Israele per gli accusati di terrorismo. Dettaglio sui destinatari della eventuale pena di morte, di fatto una esclusiva palestinese.

La stessa stampa israeliana, a partire dal Jerusalem Post, indica come assai improbabile che a essere condannato a morte possa essere un ebreo che assassina un palestinese.

Terrorismo etnico-religioso

Il ‘terrorismo’ etnico. «Il primo passo della futura legge mostro», segnala Chiara Cruciati sul Manifesto.Ennesima prova di forza del governo Netanyahu, nonostante il parere contrario (in teoria vincolante) della procuratrice generale Gali Baharav-Miara che ha definito la proposta «incostituzionale» (a maggior ragione, dice, nella parte che fa riferimento ai Territori occupati, essendo appunto illegalmente occupati).

‘Potere ebraico’

Disegno di legge presentato dal partito di ultradestra ‘Potere ebraico’, che spiega anche il suo concetto di «terrorista»«Chiunque intenzionalmente o meno causa la morte di un cittadino israeliano quando l’atto è compiuto per motivi razzisti o di odio e con l’obiettivo di danneggiare lo Stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella propria patria».

L’esclusiva palestinese

Definizione ampia e che non indica i palestinesi come primo obiettivo (tra l’altro, il 20% dei cittadini israeliani è palestinese) da cui la necessità di Ben Gvir e del premier Netanyahu di dare qualche dettaglio in più, indicando nell’uccisione di due coloni israeliani vicino Nablus la molla finale della proposta di legge.

Amnesty International

Già qualche giorno fa Amnesty aveva condannato la proposta sia per la crudeltà della pena di morte sia perché la legge «è il tentativo di creare una distinzione su base etnico-nazionalista e questo la rende una legge di apartheid». Condanna anche dagli esperti Onu: «Passo profondamente regressivo» che «tra l’altro si applicherà alle minoranze e a chi vive da 55 sotto occupazione».

Vendetta dei coloni: le case di Huwara in fiamme

Nella Cisgiordania occupata ormai è conflitto aperto tra abitanti palestinesi e coloni israeliani, avverte Michele Giorgio. «Un anno di incursioni ‘antiterrorismo’ continue dell’esercito israeliano nei centri abitati palestinesi, a cominciare da Jenin e Nablus, con oltre 200 palestinesi uccisi, e di blitz punitivi e intimidazioni dei coloni nei villaggi vicini agli insediamenti, non hanno fatto altro che alimentare rabbia, frustrazione e la militanza armata tra gli occupati».

Attacchi e contrattacchi

L’odio quotidiano. Al raid del 22 febbraio dell’esercito nella città vecchia di Nablus – 11 uccisi tra cui alcuni civili –, domenica un uomo armato ha risposto, almeno così spiegano i palestinesi, uccidendo a colpi d’arma da fuoco due coloni israeliani di Brachà (due fratelli, Hallel e Yagel Yaniv, di 21 e 19 anni) nei pressi del villaggio di Huwara (Nablus). Poche ore dopo, centinaia di coloni hanno condotto una rappresaglia di massa contro i villaggi di Huwara, Burin, e Zaatara dove hanno dato alle fiamme oltre trenta case e decine di automobili. (nella foto) Un palestinese è stato ucciso da un proiettile allo stomaco –sparato dall’esercito non dai coloni, denunciava ieri la famiglia–, mentre altre decine sono stati feriti, alcuni in modo grave.

Esercito di parte

Quale sia stato il ruolo dell’esercito in quelle fasi non è chiaro. Secondo i comandi militari, sarebbe riuscito ad evitare il peggio e a dividere le due parti. Per i palestinesi invece i soldati in molte occasioni avrebbero lasciato fare e protetto i coloni e non chi veniva aggredito. 22 esperti israeliani di diritto internazionale, in una lettera scritta al procuratore generale, hanno avvertito che i fatti di Huwara costituiscono un «crimine di guerra così come l’istigazione alla violenza da parte di esponenti politici dell’estrema destra».

Guerra civile e istigatori

Ieri pomeriggio un altro colono israeliano, di 25 anni, è stato ucciso vicino a Gerico. La città è stata circondata e chiusa dall’esercito. A Gerico, oltre 60 palestinesi e una dozzina di israeliani sono stati uccisi dall’inizio dell’anno. Il deputato della maggioranza Zvika Fogel, del partito di estrema destra Otzma Yehudit e presidente del Commissione per la sicurezza nazionale della Knesset. «Togliamoci i guanti. Un Huwara chiuso e bruciato: ecco cosa voglio vedere. Abbiamo bisogno di bruciare villaggi quando l’esercito non agisce».

E parlando a nome di altri deputati di destra ha detto che si vergognava che la coalizione di cui fa parte stesse «balbettando nella sua risposta al terrore palestinese».


  • Sulla valutazione dei magistrati
    Si vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
  • ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric Salerno
    Altri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: