Roma, 23 dicembre 2021 – Una lettura, anche superficiale, del World Inequality Report 2022 , basta a documentare la gravità della diseguaglianza sociale nella distribuzione del reddito e della proprietà, sia a livello mondiale che nel nostro paese, che pure è considerato tra i più fortunati. A livello mondiale, la metà più povera degli abitanti del pianeta riesce ad ottenere soltanto l’8% del reddito totale e possiede appena il 2% della ricchezza complessiva. Mentre il 10% più ricco si appropria del 52% del reddito totale e addirittura del 76% della ricchezza. In Italia, la metà più povera della popolazione riesce a portare a casa il 20% del reddito totale e solo il 10% della ricchezza complessiva. Mentre il 10% più ricco si accaparra il 32% del reddito e il 48% della ricchezza.
Così va il mondo, osserverà qualcuno. Ricchi e poveri ci sono sempre stati, non è una novità. Invece qualcosa di nuovo c’è, da 30-40 anni a questa parte. Se dall’inizio del secolo scorso agli anni ’70 l’andamento della distribuzione del reddito è stata continuativamente decrescente per il 10% più ricco e crescente per il 50% più povero, la tendenza si è decisamente invertita all’inizio degli anni ’80 per proseguire fino ad oggi. Analogo andamento, con polarizzazioni ancora più marcate, è avvenuto per la distribuzione della ricchezza.
Ma cosa è successo in Italia e in Europa dal 1980 ad oggi, se non il via libera alla circolazione di merci e capitali, seguito dalla concentrazione di questi ultimi in poche mani? In pochi decenni, lo strapotere dei mercati finanziari ha di fatto strappato quasi tutta l’economia al controllo democratico degli Stati. La deregolamentazione del mercato del lavoro e lo smantellamento dello stato sociale hanno riconsegnato al profitto e alla rendita quanto hanno conquistato con la lotta sindacale delle classi lavoratrici nei primi due terzi del secolo.