Quale Ulivo

Roma, 9 ottobre 2021 – “Un campo democratico aperto che vada da Renzi e Calenda fino ai Cinquestelle”. Dove nessuno metta i veti. Sarebbe questo il “Nuovo Ulivo” secondo Goffredo Bettini, nel PD il miglior amico di Conte stando alla lettura dei giornali. E pare che l’idea abbia finito per convincere Enrico Letta, segretario del Pd e rieletto deputato alle suppletive di Siena con l’appoggio anche di Italia viva. Matteo Lepore, neosindaco di Bologna col 62% dei voti (dal M5S a Italia Viva) crede “che da qui si apra una fase costituente per il centrosinistra, e che Enrico Letta sia la persona giusta per coltivare il nuovo campo progressista”. Bene, ma una cosa è accordarsi su un candidato alle amministrative, un’altra l’ alleanza politica per il governo del Paese.

Diffidenza o incompatibilità?

“Va superata una reciproca diffidenza”, insiste Bettini. Diffidenza o incompatibilità? Ecco il punto su cui perfino Pierluigi Bersani, apostolo per eccellenza di una “sinistra larga e progressista”, ha espresso l’altra sera su la 7 tutte le sue perplessità: “In coalizione con Calenda? Io sono abituato a fare il filo della collana, ma fino a lì ho qualche problema ad arrivarci. Lui pensa che non ci siano la destra e la sinistra, ma solo pragmatici contro populisti. Nel mondo non è così, centri ballerini non ce ne sono. A Calenda bisogna chiedere chiarezza e coerenza, tutte e due i piedi in un campo, e senza diktat”.

Io la penso come Bersani e così credo la maggior parte di quanti votano alla sinistra del PD. L’incompatibilità con la destra era data per scontata perfino dal quadripartito della prima repubblica, non soltanto dai comunisti. Ma immaginare un “nuovo ulivo” o ancor più ottimisticamente una “sinistra di governo” come la intende Bersani significa non soltanto accertarne l’incompatibilità con la destra di Salvini e Meloni. Ma soprattutto quella tra la sinistra e chiunque non vuole mettere in discussione il tecno-capitalismo neoliberista. Lo strapotere del quale continua oggi, anche in tempo di pandemia, a favorire la crescita delle disuguaglianze. E a non affrontare mai seriamente l’ingiustizia sociale, fiscale e ambientale che affligge la società.

Draghi e il pragmatismo

Si può accettare il governo Draghi per affrontare l’emergenza in assenza di altre soluzioni. Ma la bandiera del “pragmatismo”, né di destra né di sinistra, non ha mai guidato l’esercito del cambiamento vero, semmai quello che considera progressista il “sempre nuovo ma sempre uguale”di cui ho letto di recente in un saggio,“La vita lucida”, scritto a due mani dall’analista filosofo Paolo Bartolini e dal professor Lelio Demichelis, docente di sociologia economica all’Università dell’Insubria.

Il pragmatismo da solo non basterà mai a restituire dignità alle persone e al loro lavoro, combattere il precariato, redistribuire la ricchezza tassando la rendita, sbarazzarsi del mito di una crescita illimitata rallentando il ritmo dei cicli di produzione-consumo, liberare gli individui dal circolo vizioso dell’indebitamento cronico e della pulsione consumistica, democratizzare internet e i mass-media, ridurre la spesa militare e lo sfruttamento industriale o commerciale dei paesi poveri, accrescendo piuttosto gli aiuti a quelli in via di sviluppo.

“Draghi per l’efficienza economica non per la giustizia fiscale”, titola Alfonso Gianni sul Manifesto. E con la legge delega “si impegna a garantire – ben al di là della sua durata e di quella della attuale legislatura – che per almeno cinque anni non avverrà alcuno spostamento del prelievo fiscale dal lavoro alla rendita, né sarà possibile superare la crisi finanziaria che strozza le autonomie locali”.

Quanto ai redditi da capitale, “è prevista una tassazione proporzionale, tendenzialmente con un’aliquota uguale per tutti, ma con gradualità, nell’intento di rendere più efficiente il mercato dei capitali”. Mentre con la lotta all’evasione si resta sul vago, per esempio espungendo e rinviando “dalla delega norme di superamento di quei vincoli sulla privacy che depotenziano gli accertamenti fiscali”.

Una sinistra di governo

Bene allora il nuovo Ulivo, ma nella consapevolezza che la mediazione sulle posizioni e sugli interessi politici non può che avere dei limiti e che il conflitto è parte essenziale della democrazia. Come tra il centrosinistra di Prodi e il centrodestra di Berlusconi. Alla festa per i suoi 70 anni, cui hanno preso parte i ministri di Pd e M5S, Roberto Fico e tutto il gotha del Pd di ieri e di oggi compresi D’Alema e Veltroni, Bersani ha detto: “alla mia età continuo a cercare una sinistra di governo e sono contento di continuare a provarci in questa buona compagnia”.

Quanto alla “sinistra di lotta” che si accontenta dello zero virgola in nome di una difesa intransigente dei propri ideali, dovrebbe convincersi, come li esorta a fare Norma Rangeri, che questi valori “devono non sopravvivere bensì essere al centro di un possibile cambiamento…Mettendo da parte personalismi, medaglie politiche, ambizioni velleitarie, barricate ideologiche costruite sulla carta”.

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