3. Due visioni del futuro del mondo
E’ precisamente il futuro del mondo nel dopo guerra che dovrebbe stare al centro del dibattito politico e di politiche estere responsabili. In caso di scampato pericolo nucleare, gli esiti possibili di questa guerra saranno infatti due, tra loro opposti: il riarmo o il disarmo, la corsa a maggiori armamenti, in attesa della prossima guerra e, di nuovo, del rischio nucleare, oppure un risveglio della ragione e la comune riflessione sul possibile ripetersi del pericolo atomico e perciò sulla necessità, nell’interesse di tutti, di un progressivo disarmo, fino alla denuclearizzazione dell’intero pianeta.
Prima ipotesi, militarizzazione delle democrazie
La prima ipotesi, purtroppo la più miope e la più probabile, si manifesta nell’aumento delle spese militari degli Stati occidentali e in una militarizzazione delle nostre democrazie: dal riarmo della Germania all’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil deciso dall’Italia e dagli altri Stati europei. «Pazzi», li ha chiamati papa Francesco, dichiarando di essersi per loro «vergognato».
E’ l’ipotesi espressa dalla gara di insulti nei confronti di Putin nella quale si cimentano i leader occidentali, a cominciare dal presidente Biden – «macellaio», «criminale di guerra», «quest’uomo non può restare al potere!» –, che hanno il solo effetto di minare, o quanto meno di rendere più difficili i negoziati o peggio, essendo rivolti a un autocrate irresponsabile, di provocarlo e di indurlo ad allargare il conflitto fino a farlo precipitare in una terza guerra mondiale. Sono invettive che segnalano un intento inquietante: la volontà che la guerra prosegua per ottenere la sconfitta della Russia, o quanto meno la sua umiliazione nel pantano di una guerra fallita, per consolidare la subordinazione dell’Europa alla politica di potenza degli Stati Uniti ed anche, magari, per raccattare qualche voto alle elezioni americane di mid-term.
Questa guerra diventa così l’occasione, per gli Stati Uniti e per l’apparato politico-mediatico schieratosi a suo sostegno, per un rilancio eticamente connotato dello scontro di civiltà tra democrazie e autocrazie, tra mondo libero e mondo incivile, onde ottenere la vittoria sul Male, anche a costo di mettere a rischio la sicurezza del mondo dal possibile olocausto nucleare.
Seconda ipotesi: impegno della comunità internazionale a fermare immediatamente la guerra a qualunque, ragionevole costo
La seconda ipotesi è quella pacifista, qui prospettata, dell’impegno della comunità internazionale a fermare immediatamente la guerra a qualunque, ragionevole costo: dall’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella Nato all’autonomia delle piccole regioni separatiste dell’Ucraina orientale, russofone e russofile, sulla base di un voto popolare nell’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione; in forza del quale, dice l’articolo 1 di entrambi i Patti internazionali sui diritti umani del 16 dicembre 1966, «tutti i popoli… decidono liberamente del loro statuto politico».
Dal clima di pace generato dalla trattativa potrebbe uscire non soltanto la fine dell’aggressione all’Ucraina, ma anche una seria riflessione sul pericolo, mai così grave, del conflitto nucleare che sta correndo il genere umano. Potrebbe uscirne la consapevolezza comune della necessità di una rifondazione, mediante l’introduzione di idonee garanzie in tema di limitazioni della sovranità degli Stati, del patto di convivenza pacifica stipulato con la creazione dell’Onu.
Il pericolo nucleare che stiamo correndo potrebbe inoltre indurre i paesi che ancora non l’hanno fatto ad aderire al Trattato sul disarmo nucleare del 7 luglio 2017, già sottoscritto da ben 122 paesi, cioè da più dei due terzi dei membri dell’Onu. Potrebbe, soprattutto, convincere gli Stati Uniti ad annullare il loro ritiro, deciso il 2 agosto 2019 dal presidente Trump, dal trattato del 1987 sul disarmo nucleare e indurre tutti gli Stati dotati di tali armamenti a riprendere questo graduale processo fino al totale disarmo.
Oggi, nel mondo, ci sono 13.440 testate nucleari (erano 69.940 prima del trattato sul disarmo del 1987), in possesso di nove paesi: 6.375 in Russia, 5.800 negli Stati Uniti, 320 in Cina, 290 in Francia, 215 nel Regno Unito, 160 in Pakistan, 150 in India, 90 in Israele e 40 nella Corea del Nord. E’ stato calcolato che bastano 50 di queste bombe per distruggere l’umanità. Questo significa che con questi armamenti il genere umano può essere cancellato dalla faccia della Terra per ben 270 volte.
Alla discussione su queste due ipotesi non sta portando nessun contributo il dibattito pubblico, che sta svolgendosi in un clima avvelenato da contrapposizioni radicali. Non è un dibattito basato sul dialogo, sul confronto razionale e sul rispetto delle opinioni altrui, ma uno scontro fondato sull’opposizione amico/nemico, sul sospetto della malafede degli interlocutori e sulla loro squalificazione morale, o come putiniani o come guerrafondai. Del tutto assenti sono l’atteggiamento problematico, l’incertezza, il dubbio, l’interesse per le idee diverse dalle nostre, la consapevolezza della complessità e dell’ambivalenza delle questioni, che sempre dovrebbero informare la discussione pubblica.
Le questioni sulle quali il dibattito politico è stato più acceso e tra sordi sono due: quella dell’invio di armi all’Ucraina e quella dell’aumento della spesa militare fino al 2% del pil. Sono questioni diverse, che l’alternativa fra le due ipotesi sopra illustrate consente forse di affrontare con lungimiranza. La prima è un dilemma morale tra la solidarietà giustamente dovuta al popolo ucraino, i cui esponenti hanno più volte richiesto l’invio delle armi, e il prolungamento che ne seguirebbe del conflitto e delle stragi. Trattandosi di un autentico dilemma morale, non hanno senso le accuse che si scambiano i sostenitori delle due opzioni. Ci sono validi argomenti a sostegno di entrambe.
L’invio delle armi
A mio parere il maggiore argomento contro l’invio delle armi consiste, oltre che nel rischio che esso possa essere inteso come cobelligeranza in un conflitto destinato a durare e a produrre altri massacri, nella sua decisione insieme a quella di un aumento delle spese militari. Questa seconda decisione è chiaramente a sostegno della logica della guerra, se non altro perché tale aumento è già avvenuto, ininterrottamente, da oltre venti anni. Rispetto al 2019 l’aumento, nel 2020, è stato del 2,6% a livello globale e ben del 7,5% in Italia. La spesa complessiva nel mondo è giunta quasi a 2000 miliardi di dollari l’anno, dei quali il 39% (776 miliardi, contro i 252 della Cina e i 62 della Russia) spesi dai soli Stati Uniti che hanno riempito il pianeta di ben 800 basi militari.
A cosa serve, domandiamoci, accumulare ulteriori, inutili armamenti, se non ad alimentare il clima di guerra e ovviamente a soddisfare gli interessi del complesso militar-industriale?
Sommario: 1. Il dovere di trattare – 2. La necessità di coinvolgere nella trattativa i paesi della Nato. Il ruolo che dovrebbero svolgere gli organi dell’Onu, convocati in seduta permanente – 3. Due visioni del futuro del mondo – 4. Per una Costituzione della Terra
Entrambe le opzioni, l’invio di armi alla resistenza ucraina e l’aumento delle spese militari risultano perciò accomunate da un’opzione militarista: dall’idea suicida delle armi come unica soluzione strategica delle controversie internazionali, in letterale contrasto con l’articolo 1 della Carta dell’Onu, con l’articolo 11 della Costituzione italiana e, più in generale, con i principi della pace e dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani nei diritti fondamentali. Un’uguaglianza, dobbiamo aggiungere, che continuiamo a sbandierare come un valore dell’Occidente aggredito e, insieme, a violare nei confronti dei quattro quinti dell’umanità.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
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- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)