da Remocontro
Il commercio del grano crea nuove tensioni politiche in Europa dell’est. Il ministro del Commercio ucraino ha annunciato ieri che Kiev farà causa a Polonia, Ungheria e Slovacchia per aver mantenuto il divieto di importazione ai cereali provenienti dall’Ucraina. Zelensky alle Nazioni unite: «Dateci più armi e rinnegate la Russia». Il partito repubblicano Usa si divide sui finanziamenti a Kiev

Ucraina contro tutti
«L’Ucraina ha avviato una causa legale presso l’Organizzazione mondiale del Commercio contro Polonia, Ungheria e Slovacchia». Il commercio del grano crea nuove tensioni politiche in Europa dell’est, anche a costo di aprire la strada ad altre polemiche ed eventuali ritorsioni pericolose. Lo scorso aprile l’Unione europea aveva deciso di adottare restrizioni contro le importazioni di cereali dall’Ucraina per tutelare il mercato interno di Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia che avrebbe potuto essere vittima di speculazioni (o affossare i produttori nazionali) a causa dell’inatteso flusso di prodotti dall’est. Poi a giugno l’Ue aveva deciso una proroga della misura fino al 15 settembre.
Ungheria contro gli interessi Usa
L’alfiere della battaglia contro il grano ucraino è senz’altro l’Ungheria, spiega Sabato Angieri sul Manifesto. Il giorno della scadenza delle restrizioni Ue, il primo ministro ungherese, Viktor Orban, ha chiarito che Budapest prorogherà unilateralmente le restrizioni all’import di grano, mais, semi di colza e semi di girasole dall’Ucraina. Orban ha accusato l’Ue di «rappresentare gli interessi americani» nella questione del grano. La Polonia (alleata strategica Nato, Usa, e retrovia militare vitale sul fronte ucraino) si era limitata a minacciare il suo veto all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue se le restrizioni non saranno adottate nuovamente da tutta l’Europa.
Polonia ed altre tensioni
In via preventiva, Varsavia, ha a sua volta prorogato il divieto di importazione in attesa dell’Unione. E ieri il portavoce del governo polacco, Piotr Muller, ha replicato al ministro ucraino: «il ricorso dell’Ucraina all’Omc non ci impressiona. Non abbiamo intenzione di fare marcia indietro». Anche la Slovacchia ha deciso di non eliminare le restrizioni a differenza del parlamento bulgaro che, invece, ha riaperto le dogane ai cereali di Kiev. Mentre il ministro spagnolo Luis Planas (presidenza di turno Ue), ha dichiarato «credo sia un errore, nonché incompatibile con il diritto Ue, che alcuni stati membri decidano misure unilaterali». Ma i Paesi interessati non gli badano.
Zelensky all’ONU: «Più armi e rinnegate la Russia»
É iniziata oggi la 78esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, aperta come da tradizione dall’intervento del Brasile seguito da quello degli Stati uniti, ma tutti gli occhi da giorni sono puntati sull’intervento in presenza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, volato a New York per chiedere maggiore sostegno all’Ucraina, segnala Marina Catucci. Lo scorso anno Zelensky era intervenuto collegandosi da remoto per esortare i paesi che continuavano a farlo a smettere di essere neutrali. Ora, intervenendo direttamente dal palazzo di vetro, l’obiettivo di Zelensky è quello di convincere i paesi che non hanno ancora preso una posizione ferma sulla guerra in Ucraina ad esprimere, senza più tentennamenti, una condanna contro la Russia
Momento diplomaticamente delicato
Il secondo viaggio del leader ucraino in America arriva in un momento molto delicato, quando al Congresso il sostegno all’Ucraina non è più così bipartisan come un anno fa ed è più complicato orientarsi fra le correnti politiche, esprimendo contemporaneamente gratitudine per il sostegno occidentale. Per questo, dopo la riunione dell’Assemblea generale il programma di Zelensky è di recarsi a Washington, incontrare i leader al Congresso, e Joe Biden alla Casa Bianca. Il 21 settembre il presidente ucraino parlerà ai senatori, proprio mentre il Congresso sta valutando la richiesta della Casa bianca di stanziare ulteriori aiuti all’Ucraina. L’approvazione di questa richiesta non è scontata, con il Gop ferocemente diviso sulla questione, come già ha sottolineato Piero Orteca nel pezzo precedente in pagina.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)