Guerra strutturale

Raniero La Valle su Costituente Terra, 24 agosto 2022

Cari Amici,
in TV ci si domanda perché la guerra in Ucraina è sparita dalla campagna elettorale, che peraltro si sta facendo nella stessa TV. Già, perché è sparita? Chi sa un po’ di giornalismo sa che a “fare notizia” è ciò che è nuovo e fuori dell’ordinario, per esempio un padrone che morde il cane, non un cane che morde il padrone.

Una guerra insensata

La guerra in Ucraina non fa più notizia perché è diventata di routine, dura da sei mesi, e non accenna a finire. E perché non finisce? È una guerra bizzarra e insensata: essa non era affatto necessaria: platealmente annunciata (dall’armata russa sul confine) non ci voleva niente ad evitarla. Bastava smettere di dire che l’Ucraina doveva entrare nella NATO (come aveva osato fare il cancelliere tedesco Scholz), bastava per il Donbass rispettare gli accordi di Minsk, e l’aggressione non ci sarebbe stata. Poi sarebbe bastato un negoziato in cui si stabilisse la neutralità dell’Ucraina e un’autodeterminazione per il Donbass, come ventilato subito nell’incontro tra i belligeranti ad Ankara, e la guerra sarebbe immediatamente cessata.

Invece Biden e la NATO si sono affrettati a dire che sarebbe stata una guerra di lunga durata, Zelensky è andato su tutti i teleschermi del mondo a chiedere armi, gli “Alleati” e Draghi gliene hanno fornito sempre di più, e la guerra è diventata perenne, né Putin ha scatenato l’Armata ex Rossa o ha voluto rischiare i 26 milioni di morti della II guerra mondiale per occupare Kiev e farla finire in fretta.

Ucraina vittima di un gioco che la supera

Così la guerra d’Ucraina è diventata una guerra strutturale, non più tra Russia e Ucraina, ma per il nuovo “ordine” del mondo, mettendo ai margini la Russia e la Cina. La guerra mondiale “a pezzi”, lamentata dal Papa, è diventata così una guerra mondiale intera, con un solo “pezzo” votato al sacrificio dai suoi amici, dai suoi nemici e dai suoi cattivi governanti, l’Ucraina. È questa la ragione per cui prendiamo il lutto per l’Ucraina, partecipiamo al suo immenso dolore, vittima com’è di un gioco che la supera.

La guerra, non più solo “di difesa”, ripristinata come strutturante dell’ordine del mondo

Ma come mai, evitata la terza guerra mondiale per tutto il Novecento, si è preso spensieratamente il rischio di farla nel 2000? La ragione è che tutti sono convinti, o sperano, che non sia una guerra nucleare. Putin ha del resto assicurato che non userà l’atomica se non nel caso che la Russia sia al limite di scomparire come Stato. D’altra parte la dottrina sulla guerra non è più quella virtuosa millantata fino a ieri, solo “di difesa” (come si chiamano ora i ministeri che prima erano “della guerra”) o di reazione a un’aggressione.

Dopo la catastrofe imprevista delle Due Torri la “Strategia della sicurezza nazionale americana” ha stabilito che non si può lasciare “che i nemici sparino per primi”, la deterrenza non funziona, la miglior difesa è l’attacco, gli Stati Uniti agiranno, se necessario, preventivamente: tutto testuale.

Così, esorcizzata l’atomica, Il recupero della guerra, deciso subito dopo la rimozione del muro di Berlino con la guerra del Golfo, si è reso effettivo, ed ecco che ora la guerra è diventata strutturale, fondativa, è stata ripristinata cioè come strutturante delle relazioni internazionali e dell’ordine del mondo, come è sempre stata dall’inizio della storia fino ad ora, indissolubile dalla politica degli Stati. La guerra non solo come continuazione, ma come sostituzione della politica con altri mezzi.

Nella Costituzione italiana esso già c’è, ma la guerra non si fa mai da soli, se non è ripudiata anche dagli altri  il ripudio non funziona. E neanche ci permettono di praticarlo: durante l’equilibrio del terrore, nella divisione internazionale (atlantica) del lavoro a noi era assegnato il compito di distruggere l’Ungheria con i missili da Comiso; chissà perché dovevamo prendercela con l’Ungheria. Poi abbiamo fatto anche noi la guerra all’Iraq, poi da Aviano sono partiti gli aerei che  bombardavano Belgrado, ed ora abbiamo riempito di armi l’Ucraina e facciamo anche quella guerra là.  

Questa è la ragione per farne il ripudio

Perciò abbiamo preso l’iniziativa di proporre ai candidati al futuro Parlamento di promuovere un Protocollo ai Trattati internazionali esistenti per un ripudio generalizzato della guerra e la difesa dell’integrità della Terra.

Costituente terra perché la Storia continui

E in pochi giorni da quando l’abbiamo annunciata, nell’ultima newsletter, le adesioni sono state molte centinaia: un successo, ma soprattutto un impegno e una speranza. E il ripudio deve essere “sovrano”: cioè deve stare sopra a tutto, ed essere propugnato non solo dai governi, ma dai parlamentari e dagli abitanti del pianeta come sovrani.

Sul Corriere della Sera si sono domandati poi “dove stanno i cattolici in questa campagna elettorale”, dato che non si preoccupano nemmeno del Credo proclamato da Salvini (ma quale, il credo niceno-costantinopolitano?). Bene, se li cercassero li troverebbero, insieme agli altri, tra i sostenitori di questa iniziativa, tra quelli che vanno a portare gli aiuti all’Ucraina invasa, tra quelli che con la Mediterranea Savings Humans e le altre navi umanitarie tirano fuori i naufraghi dal Mediterraneo e li fanno scampare ai flutti e alla Guardia costiera dei lager libici, finanziata e patrocinata da noi, e in chi ogni domenica chiede la pace dalla finestra di piazza san Pietro.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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