Guerra, sanzioni e Cina: la crisi tedesca sull’Europa e sull’Italia

Piero Orteca su Remocontro

Se il termometro dell’economia europea è la Germania, allora siamo nei guai. La guerra in Ucraina, le sanzioni alla Russia e l’aperta ostilità americana contro la Cina, oltre alla geopolitica, hanno messo a soqquadro i mercati internazionali. E niente sarà più come prima. Intanto il segretario di Stato Usa a Kiev annuncia un altro miliardo di dollari in aiuti e armi.

La Germania in crisi produttiva

Parlando della Germania, il Financial Times fa un’analisi impietosa, partendo proprio dalle premesse che abbiamo sopra ricordato. «La più grande economia europea si è ridotta o è rimasta stagnante negli ultimi tre trimestri e la sua ripresa dalla pandemia da coronavirus è stata più lenta di quella degli Stati Uniti o dell’intera Zona euro. Il cuore industriale del Paese è stato colpito, in modo particolarmente duro, dall’aumento dei prezzi dell’energia, dall’aumento dei tassi di interesse e dal rallentamento degli scambi con la Cina, il suo secondo mercato di esportazione». Insomma, l’analisi è chiarissima. Se c’è un Paese che paga più di tutti gli altri un prezzo salato, per la guerra in Ucraina e per tutti i ‘danni geopolitici collaterali’, questo è senz’altro la Germania.

La sua economia ‘export-oriented’ è stata devastata da scelte fatte Oltreatlantico, che si sono rivelate e ancora si riveleranno catastrofiche per il suo sistema, produttivo e commerciale.

‘Danni geopolitici collaterali’

Colpita a più riprese, la ‘locomotiva’ d’Europa ha cominciato a sferragliare, ansimante, lungo i tortuosi tornanti di una recessione indotta, figlia di una ‘tempesta perfetta’, in cui l’alta inflazione si è sposata con una progressiva stagnazione economica. Oggi, le cose vanno sempre peggio e il monito che arriva a tutti è inquietante: perché molti altri sistemi-paese, a cominciare proprio dall’Italia, hanno strutture produttive e commerciali che richiamano quelle tedesche. Insomma, se a Berlino piangono è molto probabile che a Roma, presto, possa succedere la stessa cosa.

Allarme statistico europeo

Le ultime notizie dicono che la depressione industriale germanica si è aggravata, come testimoniano gli indici del calo della produzione. I pronostici non erano favorevoli, ma il colpo ricevuto è stato più forte di quello che si pensava. Si sperava in un calo limitato allo 0,5%, e l’amara sorpresa è stata di scoprire un tracollo dello 0,8%, nel solo mese di luglio. E questo nonostante ci sia stata una minima ripresa nei comparti dell’energia e dell’edilizia. Ma un ‘marcatore tipico’, cioè il settore automobilistico, ha subito pesanti arretramenti della domanda. Fino al 9%. «La produzione industriale tedesca continua a crollare – ha detto Carsten Brzeski, di Banca ING – e anche i pessimisti più irriducibili si spaventano». Specie quando si calcola che, il livello attuale, è ancora di ben il 7% sotto alla soglia raggiunta nel periodo pre-pandemico. Una situazione ingarbugliata, in cui però la stagnazione che sarà seguita dalla recessione, finirà poi per spalmarsi più omogeneamente.

America contro Europa

L’Ufficio statistico dell’Unione, per esempio, è stato già costretto a rivedere al ribasso i trend di crescita di Italia, Irlanda e Austria nel 2º trimestre. Tutto questo ha portato a un indice medio Eurozona di +0,1%, cioè a un elettroencefalogramma economico piatto. Bene, in situazioni di questo tipo e alla faccia dei ‘diktat’ che arrivano dalla Casa Bianca, una soluzione può essere investire all’estero, in località ‘più vantaggiose’. BASF, per esempio, ha intenzione di costruire uno stabilimento da 10 miliardi di euro in Cina e sta ridimensionando i suoi impianti in Germania, a Ludwigshafen. Così come intende investire all’estero il 32% delle aziende intervistate dalla Camera di Commercio.

‘Destatis’ da paura

Il governo del Cancelliere Scholz, in questa fase di difficile congiuntura economica, è sottoposto a feroci critiche. Viene accusato di ‘passività’, ma deve anche fare molta attenzione, a non varcare la linea rossa di finanziamenti che si potrebbero configurare come ‘aiuti di Stato’. Per ora ha accettato di dichiarare guerra alla ‘muffa della burocrazia’, gettando sul piatto della digitalizzazione, dell’edilizia e dell’energia verde sette miliardi di euro di risorse. Restano, impietose, le statistiche snocciolate da Destatis, l’Agenzia federale di statistica. Il calo della produzione industriale, su base annua, a luglio, è stato del 2,1%. Ma alcuni settori particolarmente energivori, come quello chimico, dei metalli e del vetro hanno subito un calo che è arrivato fino all’11,4%. E se è vero che i produttori tedeschi, attualmente, stanno smaltendo per la maggior parte domanda arretrata, è anche vero che a luglio, rispetto al mese precedente, gli ordinativi sono bruscamente calati del 10,7%.

Gli esperti della società di consulenza Capital Economics sono sicuri: «Ci aspettiamo che la produzione diminuisca ulteriormente nel resto dell’anno e contribuisca a far ricadere la Germania nella recessione». In questo caso, indovinate, prego, quello che succederà in Italia.


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