Roma, 13 febbraio 2021 – Sapremo presto se e quanto Draghi riuscirà ad arrestare la crescita delle diseguaglianze. Ma la formazione del nuovo governo mi conferma nella valutazione data quattro giorni fa sotto il titolo “tutto e il contrario di tutto”. Con l’aggravante della qualità dei ministri politici piuttosto mediocre, a parte se vogliamo i meriti di Roberto Speranza per aver ben gestito fino ad oggi la lotta alla pandemia.
Quanto al collocamento dei tecnici nei ruoli più importanti e decisivi, personalità scelte per competenza e preparazione per gli incarichi loro affidati, dovrebbero anche dimostrare ora, cosa di cui dubito, la consapevolezza del fallimento del modello neoliberista di produzione e consumo.
E’ il modello che ha segnato la preminenza incontrastata del privato sul pubblico, lo stesso che ha condotto alla crisi sanitaria ed economica cui dobbiamo far fronte. Un modello che dovrebbe essere necessariamente cambiato se vogliamo avviarci, come dalla sinistra e dalle organizzazioni dei lavoratori si è ripetuto più volte, ad una nuova e diversa “normalità”.
Era quanto si riprometteva il governo Conte ter, o almeno quanto promettevano i partiti disposti ad appoggiarlo. Che questo si possa fare da un tavolo che vedrà insieme Giorgetti e Orlando, Brunetta e Speranza, mi pare molto, molto difficile. Sempre che l’apparente coesione parlamentare e nient’affatto sociale di oggi, priva del confronto dialettico tra maggioranza e opposizione, non porti ulteriori danni alla nostra malmessa democrazia (nandocan)
Draghipuntura
***di Massimo Marnetto, 13 febbraio 2021 – Dall’economista con occhi a fessura quasi orientali, non potevamo che aspettarci otto aghi conficcati nel corpaccione ministeriale, per riattivare energie e risolvere squilibri, come promette l’antica pratica. Sono i tecnici che Draghi ha nominato per intercettare i soldi “difficili” dell’Europa. Che si ottengono non solo rispettando precise indicazioni, ma fornendo rigorose rendicontazioni.
Basti pensare a Daniele Franco – il mastino deli conti alla Ragioneria Generale – ora al vertice del Ministero dell’Economia e Finanza. O a Enrico Giovannini alle Infrastrutture, che dovrà porre mano alla disastrata rete ferroviaria e stradale, compresa la grana Autostrade-Benetton. O Bianchi all’Istruzione, per risollevare la scuola dal “mal-Dad”. Certo, poi c’è tutta la brigata dei politici che si ringhiavano a vicenda eterna incompatibilità, poi velocemente dismessa come una felpa o sparita in un batter di Rousseau.
Ma la “Draghipuntura” ha un fine trasversale: la transizione. Ecologica, per assecondare Greta e Grillo (ma anche perché c’è un vincolo di destinazione “verde” dei fondi europei del 37% sugli impieghi). E digitale, per rendere il Paese meno cartaceo e cetaceo nella burocrazia e più aperto alle opportunità della connessione. Ma il neo Governo è legato anche ad una non detta transizione presidenziale. Fra un anno Mattarella finirà il suo mandato e occorrerà trovare “il migliore” per il Quirinale. Chi potrebbe essere?