Hieronymus Bosch: Visioni dell’Aldilà
da “L’evoluzione di Dio” di Robert Wright*
Convinto che il regno di Dio fosse “vicino”, Gesù non perse molto tempo a descrivere l’aldilà: parlava come se il giorno della resa dei conti sarebbe arrivato da un momento all’altro, prima che chi lo stava ad ascoltare avesse la possibilità di morire, e spiegava alle persone come prepararsi. Il Giorno del Giudizio riguardava i vivi, non i morti.
In che modo il cielo è diventato Cielo
In una lettera scritta a Tessalonica, una città della Macedonia – probabilmente il più antico documento tra quelli contenuti nel nuovo testamento – Paolo affronta questo argomento, divenuto per molti motivo di inquietudine: “Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza”. Paolo assicurava agli altri credenti che chi godeva del favore di Dio poteva aspirare all’aldilà anche se moriva prima del Giorno del Giudizio.
La visione dell’aldilà illustrata da Paolo è la prima visione cristiana documentata a questo proposito, ed è degna di nota sotto due aspetti. In primo luogo ci dice che, benché Gesù, figlio di Dio, fosse asceso al cielo poco dopo la sua morte, i cristiani comuni non sono destinati a seguire questa strada, visto che per ottenere la beatitudine devono aspettare il ritorno di Gesù: “I morti in Cristo” risorgeranno solo quando “il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo”. In secondo luogo afferma che anche allora i morti non andranno in cielo: vivranno per l’eternità sulla terra: la terra del regno di Dio, infinitamente migliore rispetto a quella di prima.
Il mito del rapimento
Nei Vangeli, Gesù non dice che ritornerà. Parla della futura venuta del “Figlio dell’Uomo”: un’espressione già utilizzata, nella Bibbia ebraica, per definire una figura che scenderà dai cieli al culmine della storia, e che gli autori del nuovo testamento sembrano aver interpretato come un riferimento allo stesso Gesù.
Se i seguaci di Gesù avessero saputo mentre egli era in vita che l’espressione “Figlio dell’Uomo” si riferiva a lui, e se egli avesse effettivamente detto loro che il Figlio dell’Uomo sarebbe stato crocifisso e resuscitato dopo tre giorni, è improbabile che, durante la crocifissione, si sarebbero dimenticati di tale previsione.
L’immagine di Gesù come il “Figlio dell’Uomo”, seduto tranquillamente in cielo, pronto ad accogliere le anime dei buoni cristiani, potrebbe essere stata fondamentale per il trionfo finale del cristianesimo. Questa immagine gli conferì un vantaggio decisivo sulle religioni che non offrivano la speranza di un aldilà piacevole e lo mantenne competitivo rispetto alle molte religioni che lo facevano. Ispirò, inoltre, i cristiani a morire nel nome della loro fede.
Il paradiso può attendere
Passeranno oltre 10 anni dalla fine del ministero di Paolo prima che la letteratura cristiana parli di una ricompensa immediata per i buoni nell’aldilà. Il Vangelo di Luca, scritto intorno all’80 o 90 e.v. racconta che il malfattore timorato di Dio crocifisso accanto a Gesù si troverà in “paradiso” insieme a Cristo quel giorno stesso.
A mano a mano che gli anni passavano senza che il regno di Dio si materializzasse, i seguaci di Gesù erano sempre più preoccupati riguardo alla condizione dei morti non ancora risuscitati.… Probabilmente, non è una coincidenza che Luca, il primo autore del nuovo testamento ad accennare al moderno paradiso cristiano, sia anche il primo autore del Nuovo Testamento a ridimensionare le speranze relative al futuro regno di Dio. Il regno, dice Luca, “non vieni in maniera che si possa osservare … il regno di Dio è dentro di voi”.
Quando Paolo scrisse le sue lettere canoniche ai cristiani di Roma, Corinto e Tessalonica, queste città avevano già dei culti dedicati a Iside, a Serapide o a entrambi. Se il cristianesimo voleva concorrere mantenendo un certo margine di vittoria – cosa che avvenne – avrebbe dovuto soddisfare le esigenze psicologiche che questi culti appagavano già.

Il peccato originale
Tra le cose da cui la religione può salvare l’uomo c’è l’opprimente senso dell’imperfezione morale: il senso del peccato. A quanto pare, il peccato costituiva un punto fondamentale del messaggio di salvezza del cristianesimo delle origini.
A un tratto, nella mente di Paolo, tutto acquistò un senso: un uomo, Adamo, a causa della sua debolezza aveva portato il peccato, e quindi la morte, alla razza umana e ora un uomo, Gesù, grazie alla sua forza e mediante la sua morte, aveva offerto la liberazione dal peccato e dalla morte. E tutto ciò era un segno d’amore. Dio, a cui gli esseri umani offrivano da tempo immemorabile sacrifici, amava a tal punto l’umanità da sacrificare il proprio figlio. Così una storia con un finale non lieto – la storia di un presunto messia che finiva sulla croce – diventò una promessa di salvezza e vita eterna assolutamente convincente.
La ricetta di Paolo per preservare la coesione della chiesa – definire “peccato” un comportamento disgregativo – potrebbe essere descritta come un modo di legare la salvezza individuale alla salvezza sociale.
Di certo il culto egizio di Osiride legava la salvezza individuale a quella sociale, e il fatto di far rientrare nella salvezza individuale un aldilà di beatitudine rinsaldava il legame. Una volta adottata dai seguaci di Gesù, la ricetta, perfezionata sotto questo aspetto, avrebbe aiutato il cristianesimo a dominare l’impero romano. In seguito, come vedremo tra poco, avrebbe contribuito a guidare l’espansione dell’Islam. Non si può negare la sua efficacia nell’aver reso tali alcune delle religioni dominanti del mondo.