21. Dallo Stato social-nazionale allo Stato social-federale

Il libero scambio privo di controllo si accompagna all’aumento delle disuguaglianze all’interno dei paesi e alla fuga in avanti verso riscaldamento climatico, che sono ormai largamente riconosciute come le due principali sfide della globalizzazione. In linea teorica, la soluzione sarebbe abbastanza semplice. Basterebbe sostituire i trattati puramente commerciali e finanziari che finora hanno organizzato la globalizzazione con dei veri trattati di co-sviluppo equo e sostenibile. Idealmente, i trattati di co-sviluppo dovrebbero inoltre assumere una valenza democratica transnazionale importante.

da “una breve storia dell’uguaglianza” di Thomas Piketty*

* Di questo libro ho pensato di proporre gradualmente sul blog, a scopo divulgativo, i brani che ritengo più significativi. La pandemia come la crisi politica, economica e ambientale che l’ha preceduta e accompagnata fanno oggi dell’ingiustizia sociale il problema più scottante per l’umanità. Nella sua “breve storia”, di cui raccomando la lettura integrale, Piketty scrive che “l’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili, che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.

**Thomas Piketty, professore dell’École des Haute Études en Sciences Sociale e dell’École d’Économie de Paris, è autore di numerosi studi storici e teorici che gli hanno fatto meritare nel 2013 il premio Yrjö Jahnsson, assegnato dalla European Economic Association. Il suo libro “Il capitale nel XXI secolo (2014) è stato tradotto in 40 lingue e ha venduto 2,5 milioni di copie.

Due postulati contraddittori: libera circolazione e Stati nazione

Il sistema economico mondiale si fonda da parecchi decenni su un doppio postulato. Da una parte, i rapporti tra i diversi paesi poggiano sulla libera e più assoluta circolazione delle merci e dei capitali, praticamente senza alcuna condizione. Dall’altra, le scelte politiche all’interno dei paesi, specie in termini di sistema fiscale, sociale o giuridico, riguardano solo i paesi stessi e devono essere oggetto di una sovranità strettamente nazionale: è il principio dello Stato social-nazionale. Il problema è che i due postulati sono contraddittori.

Il libero scambio privo di controllo si accompagna all’aumento delle disuguaglianze all’interno dei paesi e alla fuga in avanti verso riscaldamento climatico, che sono ormai largamente riconosciute come le due principali sfide della globalizzazione. In linea teorica, la soluzione sarebbe abbastanza semplice. Basterebbe sostituire i trattati puramente commerciali e finanziari che finora hanno organizzato la globalizzazione con dei veri trattati di co-sviluppo equo e sostenibile. Idealmente, i trattati di co-sviluppo dovrebbero inoltre assumere una valenza democratica transnazionale importante.

Anche in Europa a comandare sono ancora i governi

Dal 1979 il Parlamento europeo è eletto direttamente a suffragio universale, ma in sostanza il potere continua a essere esercitato dal Consiglio dei capi di Stato o dai Consigli dei Ministri, i quali si riuniscono a porte chiuse e con un solo rappresentante per paese, ciascuno con diritto di veto sulle questioni fiscali e di bilancio, per cui la presunta democrazia parlamentare transnazionale finisce per girare a vuoto.

Se per miracolo si raggiungesse l’ unanimità e si giungesse a prendere una decisione – com’è accaduto con il piano di rilancio adottato durante la crisi pandemica del 2020, con un prestito comune destinato ad aiutare i paesi più colpiti – bisogna poi aspettare che essa sia approvata da ciascuno dei parlamenti nazionali, i quali sono gli unici a cui compete, nel quadro giuridico attuale, il coinvolgimento dei contribuenti nazionali, il che rende il processo di legislazione molto macchinoso e poco reattivo.

Per uscire da questo impasse una soluzione potrebbe essere la seguente: i paesi che lo desiderano istituiscono un’assemblea europea costituita da deputati nazionali (per esempio in proporzione alla quantità di popolazione e di gruppi politici) che avrebbe la competenza per adottare a maggioranza un certo numero di decisioni di bilancio, fiscali e sociali nei limiti fissati dai paesi interessati.

Per un federalismo sociale e democratico

La questione dello stato social – federale non riguarda soltanto l’Europa. Tutt’altro. La costruzione di nuove forme di social – federalismo, vale a dire di federalismo democratico suscitato da obiettivi sociali espliciti e verificabili, è un piano valido per l’intero pianeta… I progressi futuri dipenderanno anche dalle azioni unilaterali adottabili fin d’ora dai vari paesi, senza necessariamente aspettare l’unanimità mondiale o regionale…

Solo combinando, e non contrapponendo, azioni unilaterali e proposte social – federali con il supporto di coalizioni regionali, si possono compiere passi in avanti.

L’idea di creare Assemblee comuni può sembrare ingenua e fuori luogo. In realtà, la crescente importanza degli obiettivi comuni in materia di sviluppo economico, di flussi migratori e di degrado ambientale renderà questo tipo di confronto sempre più indispensabile.

Concludiamo notando come il rifiuto di proiettarsi nella prospettiva di un federalismo sociale e democratico possa concorrere ad alimentare progetti reazionari tendenti a compensare in maniera autoritaria le limitazioni dello Stato-nazione. In Le origini del totalitarismo (1951), Hannah Arendt aveva già osservato che la principale debolezza dei socialdemocratici europei nel periodo tra le due guerre fu proprio quella di non avere compreso appieno il bisogno di una politica-mondo per rispondere alle sfide dell’economia-mondo.

La comparsa dell’ISIS

L’esempio più drammatico di una situazione del genere nel recente passato è sicuramente la comparsa dell’ISIS nel 2014 (con le sue molte ricomparse nel Sahel e altrove). Il Medio Oriente è, secondo i dati disponibili, la regione meno egualitaria del mondo, soprattutto per il fatto che le risorse petrolifere (che andrebbero lasciate dove sono, nel sottosuolo) si concentrano in territori pressoché disabitati, le cui oligarchie accumulano sui mercati internazionali riserve finanziarie illimitate, con il sostegno attivo degli Stati occidentali, ben contenti di poter rivendere loro armi o reinvestire una parte dei fondi nei loro sistemi bancari o nei loro club sportivi.

Se non riparte il confronto e si resta ancorati allo status quo economico e territoriale attuale, si finisce per lasciare campo libero a progetti reazionari di ridefinizione delle frontiere coloniali come appunto lo Stato islamico. Il quale spera, dando vita a una potenza statale superiore, in forza di un’identità violentemente autocentrica e di un’ideologia religiosa totalitaria, di rispondere a quello che i suoi sostenitori percepiscono come un senso di umiliazione, lo stesso da cui si sentiva pervaso lo Stato nazista tra le due guerre (fortunatamente, almeno finora, con minor forza e un minor successo politico-militare).

Oggi come ieri, solo con progetti di sviluppo equi e obiettivi credibili di giustizia sociale a vocazione universale si potranno sconfiggere le derive identitarie e totalitarie.

Continua con: 22. Verso un socialismo democratico, ecologico e meticcio


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