2 – Le divinità degli Stati antichi

*** da: Robert Wright: L’evoluzione di Dio*

La descrizione delle civiltà primitive offerta da Herbert Spencer nel XIX secolo – “in origine Stato e istituzioni religiose sono indistinti” – non è lontana dal vero: politici e sacerdoti insieme controllavano la conoscenza sacra su cui si fondavano il loro prestigio e la loro influenza.

Così in Cielo come in Terra

Le religioni che incoraggiavano le persone a trattare gli altri con rispetto – atteggiamento che assicurava città più ordinate e produttive – sarebbero risultate avvantaggiate rispetto a quelle che non lo facevano. In questo senso l’antica rappresentazione della divinità come entità che difende l’ordine dal caos, oltre a essere utile alle élite dal punto di vista politico, era anche esatta. Erano gli dèi – o, almeno, la fede in loro – a proteggere le civiltà antiche dalle forze del caos che, in effetti, minacciavano le organizzazioni sociali complesse.

Questo è ciò che sembra essere accaduto nella Mesopotamia primitiva.gli dèi principali delle varie città si fusero in un Pantheon accettato a livello regionale. In realtà non si trattava semplicemente di un Pantheon, ma di un clan: gli dèi delle diverse città erano legati da vincoli di parentele e, mentre il millennio si avviava conclusione, le città arrivarono

Nel radunare buona parte del mondo conosciuto sotto il controllo greco, Alessandro Magno celebrava gli dèi di cui conquistava le terre. E le divinità di Alessandro avrebbero ricevuto la stessa pragmatica cortesia quando la Grecia si ritrovò dalla parte dei conquistati. E’ questo il motivo per cui si può stabilire una corrispondenza tra il pantheon greco e quello romano cambiando semplicemente il nome degli dèi (Afrodite o Venere, Zeus o Giove, e così via).

Le città Stato

Sin dall’inizio, la tendenza della religione a seguire da vicino la politica aveva riguardato non solo i rapporti tra le varie città-Stato della Mesopotamia , ma anche la politica all’interno di ognuna. E all’interno l’ordine politico era verticale. A differenza delle società di cacciatori-raccoglitori, le città-Stato avevano una leadership chiara. E, come nei chiefdom, la leadership era gerarchica, anche se in modo più complesso e burocratico. Come in terra: le città-Stato e, in seguito l’intera regione, non solo avevano un’unica divinità principale (talvolta una divinità che veniva definita re) , ma questa divinità principale aveva degli dèi subalterni che ricordavano chiaramente una corte reale.

Nel codice di Hamurrabi

Hammurrabi godeva dell’autorizzazione divina a emanare leggi. Come sottolineato dai brani che aprono il suo codice legislativo, Anu ed Enlil, le due divinità più autorevoli del Pantheon mesopotamico, avevano scelto lui come re per “portare la regola della rettitudine nel paese, per distruggere i malvagi e i malfattori”. Alla fine del codice, sono una trentina gli dèi citati… Nessuna di queste divinità ottiene, però, il trattamento riservato a Marduk nei brani di apertura del codice, dove Anu ed Enlil dichiarano che Marduk è un “grande” Dio e gli attribuiscono il “dominio sull’uomo terreno”

A seguito di un importante sviluppo teologico, l’importanza degli altri dei del Pantheon fu sminuita e, da subalterni di Marduk, diventarono dei semplici aspetti della sua personalità.…Secondo il classico mesopotamico Epica della creazione, Marduk aveva “la sovranità sul mondo intero”. Ovviamente, del resto, visto che “ha attribuito il nome ai quattro quarti del mondo; l’umanità ha creato”. Esistono accenni al fatto che il dio non solo governava l’intera umanità, ma era anche ben disposto nei suoi confronti: “Grande è il suo cuore, immensa la sua compassione” (anche se, per non sbagliare, “avrebbe sottomesso il disobbediente”.

Un enigmatico ed eccentrico faraone

Nel frattempo, in Egitto, un dio si era avvicinato ancora di più di Marduk al monoteismo universalistico…Il golpe fu ideato, nel XIV secolo p.e.v., da un enigmatico ed eccentrico faraone noto come Amenhotep IV. Se il faraone fosse mosso più da zelo religioso o da un desiderio di complotto politico gli studiosi hanno opinioni diverse, ma sono in pochi a negare l’importanza della situazione politica da lui ereditata al momento di salire al trono o della situazione religiosa ad essa collegata.

Akhenaton

Il faraone costruì una grande città in onore di Aten, la chiamò Akhenaton (“orizzonte di Aten”), e spostò lì la capitale, si nominò alto sacerdote di Aten, si dichiarò figlio di Aten, e come tale venne lodato;”Oh, bel figlio del disco solare”, un disco solare che, osservavano i cortigiani del re, “non ha esaltato il nome di nessun altro re”.

Mentre Marduk, dopo aver assorbito le principali divinità, si era tenuto attorno alcuni dèi, in modo da avere una sposa e dei servitori, Aten, all’apice del suo potere, rimase da solo nel firmamento divino: un chiaro presagio del dio ebraico, Iahvè. E a proposito del famoso universalismo di Iahvè, Aten aveva creato gli esseri umani e si prendeva cura di tutti loro. Come dice il grande inno ad Aten: Tu metti ogni uomo al suo posto/ provvedi ai bisogni di ognuno…/ Gli uomini parlano lingue diverse,/ e hanno caratteristiche differenti;/ non tutti hanno la stessa pelle,/ perché tu hai distinto popolo da popolo”.

In Mosè e il monoteismo, Sigmund Freud ipotizzò che, durante il regno di Aten, Mosè fosse in Egitto e che, in seguito, avesse portato l’idea di monoteismo verso Canaan, dove avrebbe introdotto la civiltà giudaico-cristiana. Come vedremo, questa non è la spiegazione più plausibile per la comparsa del monoteismo nell’antica Israele. In realtà sembra che la responsabilità di quell’evento sia da attribuirsi più a Marduk che ad Aten.

Molti secoli dopo aver fallito nel tentativo di instaurare un monoteismo duraturo nella civiltà mediorientale, Marduk contribuì a spingere tale civiltà oltre la soglia che da esso la separava. Avrebbe affrontato e sconfitto, perfino umiliato, un dio dell’antica Israele, e gli Israeliti avrebbero risposto creando un proprio monoteismo. (continua)

* “Una lucida analisi di come la dottrina e le pratiche religiose siano cambiate nei secoli, generalmente in meglio”.  Così il Times di Londra annunciava 12 anni fa la pubblicazione da parte di Newton Compton editori del libro di Robert Wright “L’evoluzione di Dio”. Non sono e non saranno molti i testi per divulgare i quali sono disposto a sottopormi alla considerevole fatica di copiare  e presentare i brani che ho ritenuto più significativi. Ho pensato che il saggio di Wright – 480 pagine scritte con grande chiarezza, appassionanti e al tempo stesso ben documentate – ne valesse  la pena.
Robert Wright ha insegnato filosofia a Princeton e religione all’università della Pennsylvania. E’ membro della New America Foundation e collabora con la rivista “The New Republic”, ma i suoi articoli sono apparsi anche su “Time”, sull’ “Atlantic Monthly” e sul “New Yorker”. Finalista del National Book Critics Circle Award, è autore di saggi selezionati dal “New York Times” fra i migliori libri di quell’anno. Anche “L’evoluzione di Dio” è stato per diverse settimane nella classifica del “New York Times”.  
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