12. La “grande redistribuzione” (1914-1980)

Tra il 1914 e il 1980 il peso dello Stato fiscale e sociale conoscerà, nell’insieme dei paesi occidentali, un’espansione senza precedenti. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX le entrate fiscali totali, inclusi contributi, tasse, imposte e prelievi obbligatori di qualsiasi natura, rappresentano in Europa e negli Stati Uniti il 10% del reddito nazionale. Tra il 1914 e il 1980 il peso, negli Stati Uniti, si triplicherà e in Europa si quadruplicherà. Se prendiamo in esame i principali paesi europei, osserviamo che l’aumento delle entrate si spiega quasi per intero con l’aumento delle spese legati all’istruzione, alla salute, alle pensioni altri trasferimenti. Dopo gli anni 1980-1990, nel Regno Unito e in Germania, Francia e Svezia, il gettito fiscale si colloca tra il 40 e il 50% del reddito nazionale.

da “Una breve storia dell’uguaglianza” di Thomas Piketty*

Thomas Piketty

* Di questo libro ho pensato di proporre gradualmente sul blog, a scopo divulgativo, i brani che ritengo più significativi. La pandemia come la crisi politica, economica e ambientale che l’ha preceduta e accompagnata fanno oggi dell’ingiustizia sociale il problema più scottante per l’umanità. Nella sua “breve storia”, di cui raccomando la lettura integrale, Piketty scrive che “l’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili, che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.

**Thomas Piketty, professore dell’École des Haute Études en Sciences Sociale e dell’École d’Économie de Paris, è autore di numerosi studi storici e teorici che gli hanno fatto meritare nel 2013 il premio Yrjö Jahnsson, assegnato dalla European Economic Association. Il suo libro “Il capitale nel XXI secolo (2014) è stato tradotto in 40 lingue e ha venduto 2,5 milioni di copie.


L’invenzione dello Stato sociale: istruzione, salute, previdenza sociale

Alla vigilia della prima guerra mondiale, lo Stato europeo era incentrato sul mantenimento dell’ordine e del rispetto del diritto di proprietà, sia sulla scena nazionale sia sulla scena internazionale e coloniale, come era accaduto per tutto il XIX secolo. 

Le spese sovrane (esercito, polizia, giustizia, amministrazione generale, infrastrutture di base) assorbivano la quasi totalità delle entrate fiscali, ovvero circa l’8% del reddito nazionale sul totale di 10%. Le altre spese (in particolare la spesa pubblica) dovevano limitarsi al solo 2% del reddito nazionale (di cui meno dell’1% per l’istruzione).

L’investimento per l’istruzione si moltiplicherà quasi per 10 nel corso del XX secolo e, nei paesi occidentali, negli anni 1980-1990, raggiungerà circa il 6% del reddito nazionale, il che aiuterà a finanziare un accesso quasi globale agli studi secondari e un forte aumento dell’accesso all’università.

Oltreoceano, negli anni cinquanta, la percentuale di bambini scolarizzati tra i 12 e i 17 anni (maschi e femmine insieme) raggiunge quasi l’80% nella secondaria. Negli stessi anni, nel Regno Unito e in Francia, il tasso di scolarizzazione secondario è compreso tra il 20 e il 30%, e solo in Germania e Svezia raggiunge 40%. In questi quattro paesi, bisogna aspettare gli anni 1980-1990 per vedere raggiunto il tasso di scolarizzazione secondaria dell’80% osservato negli Stati Uniti parecchi decenni prima. 

In Giappone, paese che si era già distinto, tra il 1880 e il 1930, per un’espansione accelerata in campo scolastico, in un contesto esasperato di rincorsa delle potenze occidentali, l’aggancio è più rapido: negli anni cinquanta del XX secolo la scolarizzazione secondaria raggiunge il 60%, e all’inizio degli anni settanta supera l’80%.

A metà del XX secolo, l’ampio divario osservato tra gli Stati Uniti e il resto del mondo occidentale in termini di produttività della manodopera si spiega in larga parte con il progresso scolastico statunitense. Dopo gli anni 80-90, il Pil per ora di lavoro è pressoché identico negli Stati Uniti, in Germania e in Francia.

Il secondo balzo in avanti dello stato sociale: una rivoluzione antropologica

Nel Regno Unito il partito laburista ottiene, nelle elezioni del 1945, la maggioranza assoluta dei seggi e mette in campo il National Health Service (NHS), nonché un vasto sistema di previdenze sociali.

  • In Svezia, il paese in cui i proprietari disponevano fino al 1910 di cento diritti di voto, i suffragi operai mandano al potere i socialdemocratici, quasi senza soluzione di continuità a partire dal 1932. 
  • In Francia, il Fronte popolare decreta nel 1936 le ferie retribuite, e la forte presenza dei comunisti e dei socialisti in Parlamento e al governo contribuisce a far approvare la previdenza sociale nel 1945. 
  • Negli Stati Uniti, nel 1932, una coalizione popolare porta al potere i democratici e il New Deal e mette costantemente in discussione i dogmi del laissez-faire e il potere dell’élite economiche e finanziarie.

L’invenzione dell’imposta progressiva sul reddito e sull’eredità

Fino all’inizio del XX secolo la quasi totalità di sistemi fiscali del mondo sono stati nettamente regressivi, nel senso che si fondavano perlopiù su tasse sul consumo e su imposte indirette.

Occorre attendere l’inizio del XX secolo perché, nel volgere di pochi anni, l’imposta progressiva si imponga un po’ ovunque. Negli Stati Uniti, il tasso superiore dell’imposta federale sul reddito, vale a dire il tasso applicabile ai redditi più elevati, passa dal 7% nel 1913 al 77% nel 1918 fino a raggiungere il 94% nel 1944.

All’inizio del XX secolo, la ripartizione dei redditi e soprattutto delle proprietà era estremamente concentrata: l’1% più ricco deteneva da solo, in Francia, più della metà del totale dei patrimoni; il Regno Unito quasi i due terzi...L’esame minuzioso degli archivi delle successioni francesi a livello individuale ci ha fatto scoprire come l’imposta progressiva sui redditi e sulle successioni abbia inciso in misura notevole sulla concentrazione della proprietà attuata tra il 1914 e il 1950.

La progressività fiscale effettiva corrisponde, nel periodo 1914-1980, a una realtà massiccia e ineludibile.

Tra il 1914 e il 1980, i contribuenti modesti e medi (dipendenti, autonomi o proprietari di piccole e medie imprese) potevano star sicuri che gli attori economici più facoltosi (alti redditi e patrimoni, imprese più prospere) avrebbero versato contributi a un tasso più alto del loro. 

Mentre oggi succede tutto l’opposto, in una fase storica in cui la progressività reale è scomparsa, quando non si risolve in riflessività, nel senso che i più ricchi arrivano volte a pagare tassi effettivi inferiori a quelli pagati dalle classi medie e popolari. E le maggiori imprese riescono spesso a pagare un tasso di imposta inferiore a quello delle piccole e medie imprese. Il che comporta un rischio molto pesante per l’accettabilità politica dell’imposta e la legittimità del sistema di solidarietà pubblica nel suo complesso.

  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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