11. Socialismo partecipativo

Nelle società per azioni sono gli azionisti o disporre legalmente dell’intero potere, con diritti di voto proporzionali al numero di azioni detenute. Potremmo dire che il senso del capitalismo sta tutto qui. Il sistema di “socialismo partecipativo” qui descritto ha un unico obiettivo: quello di illustrare l’enorme diversità dei sistemi economici possibili. Sulla base delle esperienze storiche di cui disponiamo, è evidente che l’adozione di un tale sistema esigerebbe una fortissima mobilitazione popolare.

da “una breve storia dell’uguaglianza” di Thomas Piketty*

* Di questo libro ho pensato di proporre gradualmente sul blog, a scopo divulgativo, i brani che ritengo più significativi. La pandemia come la crisi politica, economica e ambientale che l’ha preceduta e accompagnata fanno oggi dell’ingiustizia sociale il problema più scottante per l’umanità. Nella sua “breve storia”, di cui raccomando la lettura integrale, Piketty scrive che “l’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili, che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.

**Thomas Piketty, professore dell’École des Haute Études en Sciences Sociale e dell’École d’Économie de Paris, è autore di numerosi studi storici e teorici che gli hanno fatto meritare nel 2013 il premio Yrjö Jahnsson, assegnato dalla European Economic Association. Il suo libro “Il capitale nel XXI secolo (2014) è stato tradotto in 40 lingue e ha venduto 2,5 milioni di copie.

Il capitalismo non ha nulla di naturale

Nelle società per azioni sono gli azionisti o disporre legalmente dell’intero potere, con diritti di voto proporzionali al numero di azioni detenute. Potremmo dire che il senso del capitalismo sta tutto qui, ma il fatto è che si tratta di un dispositivo istituzionale specifico, che non ha nulla di naturale e si è imposto solo gradualmente, nel quadro di circostanze e rapporti di forza specifici. 

In teoria, sono concepibili norme affatto diverse. Niente, per esempio, garantisce che gli azionisti abbiano più competenze del salariato aziendale per poter dirigere l’azienda, né che, a lungo termine, siano più coinvolti nel progetto economico che la stessa azienda porta avanti.

Il sistema detto di “cogestione”

In Germania, il sistema detto di “cogestione” (chiamato pure “codeterminazione”) consiste nella ripartizione dei seggi negli organi che dirigono le imprese (consiglio di amministrazione o di vigilanza) nella proporzione 50-50 tra i rappresentanti dei dipendenti e degli azionisti il sistema fu introdotto nel 1951 nei settori dell’acciaio e del carbone, poi esteso nel 1952 all’intero complesso delle grandi aziende (senza distinzione di settori).

Dispositivi analoghi vennero adottati in Austria, Svezia, Danimarca, Norvegia, dove le norme vengono applicate anche alle piccole e medie imprese. La cogestione risulta invece poco estesa al di fuori dell’Europa germanica e nordica.

La proprietà come un diritto assoluto e naturale

Viceversa, parecchi paesi tra cui la Francia hanno mantenuto, nei loro testi di riferimento, una definizione della proprietà vista come un diritto assoluto e naturale, quello formulato alla fine del XVIII secolo, per cui l’adozione di norme di cogestione alla tedesca, senza una revisione costituzionale, avrebbe avuto forti possibilità di essere contestata davanti ai giudici.

Il socialismo partecipativo e la condivisione del potere

Potremmo immaginare un sistema in cui da una parte i rappresentanti dei dipendenti avrebbero il 50% dei voti in tutte le imprese, comprese le più piccole, dall’altra la quota dei diritti di voto detenuta dal singolo azionista(del 50% dei diritti di voto riservati agli azionisti) non possa, nelle aziende abbastanza importanti, superare una certa soglia.

Il sistema di “socialismo partecipativo” qui descritto ha un unico obiettivo: quello di illustrare l’enorme diversità dei sistemi economici possibili. Sulla base delle esperienze storiche di cui disponiamo, è evidente che l’adozione di un tale sistema esigerebbe una fortissima mobilitazione popolare.

A parte la questione della cogestione, va ripensato a livello europeo e transnazionale il complesso dei diritti sindacali, agevolando l’adesione e la partecipazione dei dipendenti.

(continua con: 12. La grande redistribuzione”, 1914-1980)

  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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